Ancora sulla pena di morte negli Stati Uniti
Ho premesso nel mio ultimo messaggio di non essere in preda ad antiamericanismo viscerale, e ribadisco che è in ogni caso indispensabile precisare che negli Stati Uniti la pena di morte è in vigore ed effettivamente applicata solo in una parte di essi.
Ciò premesso, è chiaro che la condanna a morte risulta inaccettabile alle nostre coscienze ovunque essa venga eseguita. Non a caso ho fatto riferimento alla Repubblica Popolare Cinese, che detiene il primato nel mondo per numero di esecuzioni.
Ai sostenitori della pena di morte, del tutto assenti dalle pagine del nostro forum (almeno cosi spero e credo), sarebbe bene fare presente che a favore della pena di morte si sono pronunciati, nel corso della storia degli ultimi decenni, personaggi quali Adolf Hitler, Benito Mussolini, Lenin, Stalin, Francisco Franco, Reza Pahlavi, l’imam Khomeini, Saddam Hussein, Idi Amin Dada, Bokassa, Papa Doc Douvalier, i generali Gualtieri e Pinochet, Batista, Fidel Castro, Ceausescu, Pol Pot, Cao Ky, Lon Nol, Sukarno, Suharto, i re Sauditi. La lista, necessariamente e largamente incompleta, è formata da personaggi passati alla storia per il loro scarso o nullo rispetto verso i diritti fondamentali dell’individuo. Potremmo definirli in alcuni casi autocrati, in altri tiranni, o dittatori, o fanatici assetati di potere. Suscita sdegno, ma non sorpresa, che nei paesi a loro soggetti si facesse uso del patibolo.
Da un punto di vista storico, il caso degli Stati Uniti è del tutto diverso, e, a mio avviso, ancora più ripugnante: si tratta infatti, nell’opinione di tanti, di un paese democratico ed evoluto, nel cui pensiero politico i diritti dell’uomo hanno sempre trovato largo spazio, di una nazione che si proclama guida del mondo e si percepisce come terra del Diritto e della Libertà.
Ebbene, in questo stesso paese si uccide con ferocia e in modo barbaro, dalla camera a gas alla sedia elettrica ed oggi all’iniezione letale, che obbliga il medico a trasformarsi in complice del boia, stravolgendo l’etica stessa della scienza medica. Le esecuzioni sono spesso avvenute in presenza di forti dubbi sull’effettiva colpevolezza dei condannati, perfino alla presenza dei parenti delle vittime, assetati di vendetta e pronti a brindare alla notizia dell’avvenuto decesso del colpevole, che fosse tale veramente o no. Non vedo differenza tra il braccio della morte di una prigione statunitense ed il patibolo eretto sulla pubblica piazza delle città medievali per placare gli istinti più bassi di folle ignoranti e miserabili.
Si sono mandati a morte uomini e donne, adolescenti e anziani (è di oggi la notizia dell’esecuzione di un uomo di settantasette anni), portatori di handicap fisici e mentali, in gran parte neri, o, se bianchi, quasi sempre poveri. Ci sono governatori che, in nome del calcolo politico, hanno respinto decine di domande di grazia, tra i quali spicca l’attuale Presidente degli Stati Uniti, senza che neppure li sfioraase l'ombra del dubbio. Una parte non ancora maggioritaria, ma sempre crescente, di americani si rende conto che l’ossessione nell’applicare la pena di morte rischia di allontanare sempre pìù gli Stati Uniti dal novero delle nazioni civili.
In questo senso non esito a parlare di superiorità morale delle nazioni europee, pur nell’imperfezione dei loro sistemi politico-giuridici.
Paolo