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FILOBUS DI LECCE

Ultimo Aggiornamento: 08/11/2021 12:24
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24/08/2005 08:44
 
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maestro tranviere
MEZZI PUBBLICI - PRODUZIONE E MERCATO
Come richiesto, ho provveduto ad aprire una nuova discussione specificamente incentrata sul mercato dei mezzi pubblici in Italia e nel mondo, e sulle collegate strategie di produzione e commercializzazione. Pregherei quindi di riservare a tale nuovo spazio i contributi sulla predetta tematica non direttamente riconducibili alla realtà leccese.

Solo per cercare di concludere il ragionamento su alcuni temi già esaminati relativi a mercato e monopolio, infine, inserisco qui alcune considerazioni in argomento che considererei finali.

Ribadisco che il costo della manodopera è un elemento sì importante nella determinazione del prezzo finale, e quindi dell'appetibilità economica di un prodotto. Ma non è l'unico. E le scelte dell'acquirente vengono fatte anche sulla base dei servizi che ci si attende, sull'affidabilità delle rete di assistenza, sulle dotazioni etc. etc. Tutte esigenze che comportano qualcosa di più complesso di una scelta effettuata solo e unicamente sul costo. Se tutti vogliono i trollino, una ragione ci sarà, si potrebbe dire. Magari è anche una questione di moda e di fama acquisita, chissà. Al di là di ciò, auguriamoci che anche la scelta alternativa dei Van Hool acquistati da Lecce sia stata adeguatamente ponderata e sostenuta da criteri razionali, trasparenti ed ispirati alle migliori pratiche della PA.

Ed a proposito dei costi della manodopera, in merito alla quale avevo citato l'esempio delle auto giapponesi, il fatto che oggi buona parte dei modelli venduti in Europa e negli Stati Uniti vengano prodotti in loco, e non in Giappone, non cambia sostanzialmente il quadro di riferimento (e comunque ci sono tantissimi altri prodotti che continuano a venire costruiti in Giappone, anche se dedicati all'esportazione in paesi dalla manodopera più a buon mercato). Tali fabbriche localizzate, infatti, più che sfruttare in senso stretto il fattore costo lavoro, come del resto osservato anche sopra, servono ad aggirare barriere tariffarie e non tariffarie ancora in vigore, nonostante il WTO, a garantire anche un certo consenso sociale e politico nei paesi dove vengono venduti i prodotti, e a frontegiare in maniera più rapida eventuali specifiche esigenze di certi mercati.

Ed infine, sul monopolio. In italia, nel settore automobilistico (e non solo) è esistito e come, anche se apparentemente mascherato da oligopolio (grazie a patti di ferro con i francesi e con gli spagnoli per dividersi i rispettivi mercati nazionali) che non escludeva la possibilità di acquistare pure auto straniere, nei confronti delle quali, quando non venivano erette barriere tariffarie e contingentamenti veri e propri (come nel caso del Giappone, appunto, ma questa è un'altra storia, dai risvolti anche buffi, che riporto in calce), permaneva comunque una fitta cortina di barriere non tariffarie che di fatto limitava seriamente la scelta.

E ad essere munto non è stato solo lo Stato (che, dal canto suo, ha comunque negoziato la protezione che concedeva, in cambio dell'aumento di posti di lavoro e di insediamenti industriali in aree non necessariamente economicamente interessanti, ma politicamente sensibili. Il principale costruttore automobilistico italiano, del resto, a suo tempo ha sempre candidamente ammesso di essere "governativo" per definizione). Chi è stato munto sul serio è stato invece il consumatore, le cui possibilità di effettuare scelte razionali in passato sono state seriamente limitate. Chi non ricorda, ad esempio, quando bastava andare in Svizzera, dove la concorrenza già esisteva, per acquistare un'auto italiana a costo minore rispetto a quello praticato nel paese di produzione, e con migliore qualità e allestimenti?

Ciò detto, il fatto che comportamenti analoghi siano avvenuti anche altrove, non costituisce una giustificazione in sé, visto che non stiamo stilando una classifica di chi è più o meno virtuoso. Il ragionamento è che io personalmente non acquisto alcun prodotto sulla base unicamente della sua "italianità", ma sulla base delle sue qualità intrinseche, e finalmente posso farlo. Questo è il mercato. Piaccia o non piaccia.

Ciò detto. Chi ha ora cose da dire su Lecce, lo faccia qua. Chi vuole continuare a parlare di produzione e mercato dei mezzi pubblici, invece, può cliccare qua.



[Ah, già, i giapponesi. Potrà sembrare strano, ma non fu l'Italia a chiedere di contingentare lo scambio di autoveicoli, bensì il Giappone! Negli anni 50/60, infatti, se il Giappone non era un paese in via di sviluppo, ben poco ci mancava. Distrutto, molto più dell'Italia, a seguito della guerra, faticava a rimettersi in piedi, nonostante avesse saputo cogliere certe buone opportunità industriali a seguito delle commesse statunitensi generate dalla guerra di Corea. E l'Italia, con una storia industriale per molti versi analoga a quella nipponica - entrambi i paesi, per adoperare una terminologia marxiana, hanno conosciuto ad esempio una genesi "incestuosa" dei capitalismi locali" - in quegli anni viveva il proprio boom, che venne visto in estremo oriente come esempio positivo da imitare. Ma anche da temere. Il Giappone di quegli anni, infatti, era terrorizzato all'idea che la rinascente, ma timida industria automobilistica locale potesse venire spazzata via da una aggressiva poltica commerciale della FIAT, le cui utilitarie sembravano costruite su misura per le caratteristiche sociali e geografiche del paese asiatico. L'Italia, al contrario, sempre timida e timorosa (tranne che in pochissimi e notissimi casi) ad espandersi su altri mercati (la nostra strategia è spessissimo stata quella di farci importare, piuttosto che attivarci fattivamente per esportare), ed i cui produttori automobilistici proprio non ci pensavano ad investire seriamente per sbarcare in Giappone, non ebbe quindi difficoltà ad accettare la richiesta dei giapponesi a contingentare i rispettivi mercati automobilistici, in cambio di qualche modesto beneficio che non avrebbe retto la prova del tempo (mi pare di ricordare che i giapponesi si impegnarono a limitare severamente le proprie esportazioni di fiaschi e manici di ombrelli nel Bel Paese, tanto per fare un esempio). E contingente fu, fino a quando le nuove regol del commercio internazionale non ne imposero l'eliminazione.]

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