Via Caracciolo: perché pedonalizzare non basta
Pubblico qui una mia riflessione pubblicata su Facebook e inviata anche al quotidiano "Il Mattino" (sperando me la pubblichino)
In questi giorni, grazie alla Coppa America, una consistente parte di via Caracciolo è stata chiusa al traffico e “restituita alla città”. Sull’onda dell’entusiasmo per questa iniziativa, è stato annunciato dal Comune che questa misura, da eccezionale, diverrà permanente, anche a gare veliche concluse. De facto, questa piccola grande iniziativa, ad oggi, è l’unico risultato tangibile ascrivibile ad un grande evento quale è stata presentata la Coppa America, paragonata addirittura al G7 del 1994. L’evento che all’epoca ospitò i grandi del mondo, si ricorderà, fu festeggiato con diversi interventi urbanistici, fra cui spiccò la pedonalizzazione della piazza simbolo di Napoli, piazza Plebiscito. Oggi, si dice, con questa misura si restituirà il mare ai cittadini. Ma siamo davvero sicuri che questo sia l’intervento urbanistico migliore per rivitalizzare, semmai ce ne fosse bisogno, lo storico lungomare di Napoli?
Attualmente, parallela a via Caracciolo scorre viale Dhorn, che divide la Villa Comunale dagli spazi del Circolo del Tennis. Quest’arteria è un inutile doppione di via Caracciolo, utilizzata, nei fatti, soltanto quando questa viene chiusa al traffico, o impiegata come un immenso parcheggio a cielo aperto, soprattutto nelle sere della movida. Con la chiusura di una parte di via Caracciolo, il traffico probabilmente sarà deviato su viale Dhorn, creando una gimcana che congestionerà ancor di più la già trafficatissima piazza della Repubblica e che metterà, cosa più importante, una pietra tombale sull’ambizioso progetto di riunificazione della villa Comunale.
Evidentemente, i molti che salutano con entusiasmo la chiusura di via Caracciolo, dimenticano, o non sanno, che qualche anno fa la precedente amministrazione comunale, in collaborazione con la Regione, nell’ambito del rilancio della linea 6 della metropolitana (ex-LTR) affidò all’architetto tedesco Hans Kollhoff la progettazione della stazione Arco Mirelli. Ebbene, l’ambizioso disegno urbanistico del celebre architetto prevedeva un’iniziativa rivoluzionaria: ricongiungere, finalmente, in un unico parco la Villa Comunale e le zone antistanti il circolo del tennis, creando così un lungo quadrilatero verde a due passi dal mare, ed eliminando un’arteria enorme ed inutile quale è viale Dhorn.
L’idea, però, non ebbe il beneplacito della Sovraintendenza, svanendo miseramente. A tutt’oggi, alla cittadinanza (spero non sia lo stesso per le istituzioni competenti) non è stato ancora illustrato come s’intende mettere mano alla risistemazione di piazza della Repubblica, una volta che i lavori della linea 6 saranno completati. E, qualunque sia la sistemazione ad oggi prevista, non potrà certamente non tenere conto dei recenti sviluppi, ossia la prevista pedonalizzazione di via Caracciolo.
Analizziamo però l’arteria che corre lungo il mare, e che oggi permette al caotico traffico napoletano, strozzato da infiniti cantieri, un attimo di respiro: nel tratto interessato dalla pedonalizzazione, la carreggiata è larga, marciapiedi esclusi, quasi 14 metri. Vi sono quattro corsie, ed una quinta adibita a parcheggi a pagamento (le famose “strisce blu”). Quasi 14 metri di asfalto non sono pochi. In questi metri, c’è ipoteticamente spazio per tutti.
Il punto è il seguente. Chiudere una strada, seppur sul mare, che non ha spazi commerciali che affacciano su di essa (quale fu, ad esempio, via Scarlatti a suo tempo), non è un’operazione urbanistica rivoluzionaria. E’ una misura sicuramente d’impatto, ma semplicistica, oltreché inutilmente frettolosa. Se si vuol fare veramente un’operazione urbanistica rivoluzionaria e coraggiosa, si rispolveri il progetto di Kollhoff. Si dia a Napoli un grande parco a due passi dal mare. E, se si vuole favorire la passeggiata dei napoletani a ridosso degli scogli, allora si sacrifichi una corsia dell’attuale via Caracciolo, allargando i marciapiedi, e trasformando la strada da 4 a 3 corsie, in attesa che l’apertura della metropolitana alleggerisca realmente il caotico traffico cittadino. Chiudendo sic et simpliciter le strade non si risolvono i problemi di traffico di una città, quando questa non è (ancora) percorsa da adeguate infrastrutture.
Si guardi agli interventi urbanistici fatti a Valencia per ospitare la Coppa America. Si guardi a tante altre città, soprattutto spagnole, ridisegnate negli ultimi decenni da grandi eventi (basti pensare alle Olimpiadi a Barcellona, o l’apertura del museo Guggenheim a Bilbao). Si guardi il lavoro svolto, la vivibilità di interi quartieri migliorata. Napoli ha fame di verde, forse più che di spazi rubati alle auto - che poi spesso le cose vanno di pari passo. Il progetto di Kollhoff era veramente un’occasione d’oro per cambiare profondamente, e positivamente, il volto di una parte storica della nostra città. Lo si recuperi. Lo si modifichi, se serve, ma senza snaturarlo. Ci si sieda al tavolo con la Sovraintendenza, per discuterne. Se questa amministrazione vuole davvero lasciare un segno nella vita dei napoletani, chiudere una delle poche strade ad ampio respiro della città, senza un progetto, senza una visione, senza una prospettiva, ma solo sull’onda emozionale di qualche regata, non è sufficiente, non è utile, non è prospettico. Confido, quindi, che ci si prenderà più tempo per ponderare adeguatamente le decisioni circa il futuro di via Caracciolo, per restituire davvero ai cittadini un lungomare ancora più bello di quello già immortalato in migliaia di immagini in tutto il mondo.
In girum imus nocte ecce et consumimur igni
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