00 23/11/2010 22:22
Trent’anni. Trent’anni, un’eternita, ma sembrano passati trenta giorni, trenta minuti, trenta secondi…
Avrei compiuto quindici anni un mese dopo, e vivevo la spensieratezza tipica del periodo. La scuola, gli amici, le prime ragazze che ti fanno sognare, la prospettiva di diventare un buon portiere di calcio, la passione per tram e treni. La prima parte di quel 1980 era stata difficile per me: era morto improvvisamente mio nonno in primavera, a scuola non andava benissimo e la compagna di scuola che sognavo la notte non mi filava neanche di striscio. Già d’estate andava meglio, stavo ritrovando morale ed avevo conosciuto un’esplosione atletica inimmaginabile solo un anno prima.
Cominciavo anche ad avere una certa presenza, essendo arrivato a poco meno di un metro e ottanta a quattordici anni e mezzo. Nel frattempo coltivavo le mie “strane passioni”, che mi facevano sentire raro, quasi unico. I treni, i tram, i modellini sul plastico… quando ne parlavo mi guardavano con un misto di compiacimento e di compassione, manco avessi un indescrivibile problema psicologico. Il 23 novembre del 1980 ero con alcuni amici a piazzale Tecchio, seduto su una panchina dopo aver trascorso un’oretta al circolo del ping-pong, a pochi metri dallo stadio San Paolo. Piazzale Tecchio era bello, largo, con una pianta stradale ormai perduta, dominato dallo stadio che stava conoscendo un Napoli che, fra mille difficoltà, sarebbe qualche mese dopo arrivato a sfiorare lo storico primo scudetto, perduto per una partita irraccontabile, irripetibile, persa per un' autorete al primo minuto contro l’ultima in classifica, il Perugia, condannato in partenza in virtù di una penalizzazione dovuta allo scandalo scommesse che in primavera aveva sconvolto il mondo del calcio, portando calciatori famosissimi addirittura dietro le sbarre per qualche giorno. In quel periodo si stavano ricostruendo i tram di Napoli: all’inizio sembrava che fossero nuovi e che rimpiazzassero nella numerazione quelli che uscivano dal servizio, ma poi fu chiaro che si trattava di un radicale rifacimento della carrozzeria. Nello stesso periodo, inoltre, si lavorava al raddoppio della ferrovia Cumana fra le stazioni Fuorigrotta e Mostra. Quella sera si commentava un buon pareggio del Napoli a Bologna per 1-1 (che strano, l’altro ieri il Napoli proprio il Bologna ha incontrato, sebbene in casa) quando una strana sensazione di spostamento ci fece sobbalzare. Un boato, il Politecnico di Ingegneria che ondeggiava, gli alti lampioni che sembrava dovessero crollare, auto che si scontravano fra di loro, un fiammante Inbus U-210 sulla linea 144 perse il controllo ed a stento riuscì a non finire sul marciapiede antistante la stazione della Cumana della Mostra. Attimi lunghissimi, interminabili, ma allo stesso tempo veloci come un lampo: il terremoto.
Dopo un minuto e mezzo la terra si ferma, ma arriva la paura ancora più forte: in direzione di casa mia e dei miei amici si solleva un polverone enorme, ed il pensiero va a mamma, a babbo, a Paola, mia sorella. Non ci credo, non può essere il mio palazzo crollato. Una corsa velocissima su via Lepanto, in pochissimi istanti arrivo sotto casa e, avvicinandomi, realizzo che il polverone proviene da piazza Italia ("è caduto ‘o Sferisterio!!!", sento gridare). Trovo i miei genitori in strada, mia madre impaurita, mia sorella (che allora aveva dieci anni) incredula, sembrava capire a fatica cosa stesse succedendo. Arrivano le prime notizie: l’Irpinia, decine di crolli, decine di morti. Poi i morti diventarono centinaia, poi migliaia. Si ha notizia di un palazzo crollato a Poggioreale, altri morti, altro dolore. “Fate presto” , titolò “Il Mattino” nei giorni successivi. Una macchina dei soccorsi lenta, inefficiente, probabilmente causò la morte di chissà quante persone che potevano essere salvate se soccorse in tempo. A Fuorigrotta si dormì in macchina per uno, due, tre giorni. Il piazzale antistante lo stadio era strapieno di automobili, in una sorta di drive-in della paura che solo la condivisione portò ad esorcizzare, come i sussulti che si sentivano sotto l’auto per “le repliche”, le scosse d’assestamento.
Quella sera morì il deposito Fuorigrotta, e parte della mia passione tranviaria. In quei giorni il servizio del tram 1 era limitato a piazzale Tecchio (da Bagnoli), come spesso capitava, per le mareggiate sul lungomare di via di Pozzuoli. La linea 2, che transitava proprio sotto al mio balcone, era sospesa da due anni, perché erano troppi i tram in ricostruzione e quelli messi fuori servizio per vetustà o avaria. Rientrerà in servizio il 23 dicembre del 1983, per poi essere soppressa definitivamente alla fine del 1989, per i lavori di un’altra “sciagura” tutta napoletana: la Linea Tranviaria Rapida, che, assieme agli altrettanto sciagurati mondiali di calcio del 1990, cambierà definitivamente (e in peggio) il volto di parte di Fuorigrotta. Nel 1980 terminò anche il servizio dei rimorchi, che tornarono ad essere rimotorizzati e rinumerati in occasione della ricostruzione, e fu demolito (in maniera quasi infame, avendo saputo le modalità solo recentemente) l’ultimo tram a due assi, il IV. L’ultima vettura “a muso piatto”, la 1039, passò due giorni ferma a piazzale Tecchio, non potendo rientrare in deposito a via Cumana per il crollo di parte della facciata dello Sferisterio, rendendo impraticabile sia il nuovo binario verso Mergellina (da poco era stata rifatta la pianta degli scambi in via Fuorigrotta, assieme alla lateralizzazione dei binari nella galleria Laziale e di quelli immediatamente fuori di essa) che quello centrale che conduceva verso il deposito. Sembrava quasi uno scenario di guerra, calcinacci dappertutto, le prime recinzioni, poi arrivarono i primi muretti di tufo (i famosi “barbacani”) e le chiusure stradali. Con il terremoto iniziò una stagione infelice per Napoli e la Campania, che forse dura ancora oggi: la necessità di ricominciare, le speculazioni da parte dei politici e le occasioni sfruttate dal mondo del malaffare. Chissà che corso avrebbe preso la storia senza quel terribile terremoto, non lo sapremo mai. In ambito tranviario Napoli perse il deposito di via Cumana, che fu messo in sicurezza prima di portar via definitivamente tutti i tram che a quell’impianto facevano riferimento, salvo una dozzina che attese il suo definitivo destino fino, addirittura, al 1997. In più, si persero chilometri di linea da San Giovanni a Teduccio fino a San Giorgio a Cremano: prima provvisoriamente, a causa della fatiscenza dei fabbricati vicini ai binari, e poi definitivamente. Da quel 23 novembre il mio essere appassionato perse per sempre il poter assistere all’uscita dei tram dal deposito comodamente affacciato alla finestra, oltre al loro rientro. “Spettacolo” a cui assistevo guardando particolari, segnando matricole e, ahimé, facendo poche, pochissime foto, foto che oggi sarebbero preziosissime. Peccato che non esistevano le fotocamere digitali, che oggi ti portano a fotografare di tutto, anche il superfluo, in ogni momento.
Il deposito Fuorigrotta oggi ha perso anche me, visto che non abito più a Fuorigrotta da quasi sei anni. Mi occupo, però, indirettamente ancora di lui (realizzando il mio sogno di bambino, quello di potere occuparmi di tram, se non per lavoro, almeno per passione), visto che, di concerto con l’ANM ed assieme ai miei compagni di ventura, conserviamo al suo interno una trentina fra tram, autobus e filobus d’epoca, portando avanti un sogno ancora più grande, benché quasi impossibile: quello di fare del deposito Fuorigrotta il Museo dei Trasporti della Campania, per rendere quel posto immortale, per sempre. Trent’anni sono passati, un’eternità, ma sembrano volati. Stasera sono tornato quello di allora, raccontandovi tutto questo.
[Modificato da Augusto1 23/11/2010 22:36]

1Poggioreale Cimit. Staz.Centr. v. Marina
P. Vittoria Mergellina Fuorigrotta Bagnoli