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Tra musica e poesia

Ultimo Aggiornamento: 11/01/2009 19:38
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30/11/2006 11:12
 
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tranviere senior
All'ultimo minuto

Ricordo perfettamente un episodio in cui i due macchinisti di un rapido formato da fiammanti Ale 601 perdevano i sensi per un intossicazione alimentare, e il treno mi pare si arrestasse solo grazie al blocco automatico poco prima di causare un incidente.



Esatto, quello fu certamente l'episodio che più mi colpì, gli altri sinceramente non li ricordo, tranne uno (di sapore quasi kafkiano [SM=x346234] ) in cui una signora si reca a stendere il bucato sul terrazzo (credo sia tipico di Roma, qui a Torino non l'ho mai visto fare) e rimane bloccata a causa della porta di accesso al tetto che viene richiusa da una folata di vento, nessuno sale ad aprirle (è una assolata mattina di agosto) e lei comincia a sentirsi male per il caldo, sino a quando non riesce ad attirare l'attenzione di un passante. Sei sicuro, Augusto, che fossero ALe 601, tra l'altro? Io ricordavo -ma non insisto, ovviamente- una E.626, ricordo che l'allarme viene dato dalla fidanzata di uno dei macchinisti, che si reca ad un PL vicino a casa per fare "ciao ciao" [SM=x346219] con la manina al fidanzato ma non lo vede in cabina di guida. Chissà che fine avranno fatto, quei telefilm: quando erano quasi al termine, si vedeva un flashback delle scene principali (scandite dal ticchettio di un metronomo) e poi capitava qualcosa di risolutivo.
Basta, chiedo scusa per l'ennesimo OT, non vorrei che il moderatore mi "bannasse"... [SM=x346232]

[Modificato da linea13 30/11/2006 11.13]


Paolo A.
30/11/2006 12:15
 
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maestro tranviere
mi sembra ricordare che qualche tempo fa ho visto un episodio su un canale satellitare della RAI.

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"Where no man has gone before"
30/11/2006 23:52
 
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tranviere veterano
Re: All'ultimo minuto
...anche a me è rimasto impresso l'episodio della signora sul terrazzo, pur non essendo forse il migliore.
Volevo aggiungere che, se non ricordo male, al termine del riepilogo prima della scena finale una voce fuori campo pronunciasse il fatidico "...ma, all'ultimo minuto...", da cui il titolo della serie.
Con mia sorella lo citavamo, a mo' di tormentone, nei finali delle scene thrilling di vari film e telefilm!

A proposito degli anni '70, di quell'epoca c'é senz'altro da rimpiangere l'assenza dei falsi moralismi ed ipocriti perbenismi che imperano oggi, soprattutto in televisione.

01/12/2006 10:18
 
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maestro tranviere
Eh... forse perché all'epoca non ce n'era bisogno...

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"Where no man has gone before"
01/12/2006 10:31
 
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tranviere senior
Tormentoni


al termine del riepilogo prima della scena finale una voce fuori campo pronunciasse il fatidico "...ma, all'ultimo minuto...", da cui il titolo della serie.



Verissimo, ricordo quella voce con la nitidezza dei ricordi adolescenziali, era davvero una specie di tormentone, esclamare: "ma... all'ultimo minuto...".
Qualcuno ricorda la serie di telefilm "Toni e il professore?" Mi piacevano tantissimo, erano uno spaccato degli anni '70, con gli orribili macchinoni americani, le signore con i capelli cotonati e pieni di lacca e la sigla iniziale in cui si vedeva un soldato Usa in Italia che si inchinava ed accarezzava sulla testa un bimbetto italiano (Toni, of course). Se questi continui OT infastidiscono, possiamo spostare la discussione, mi piace troppo parlare delle vecchie serie di telefilm. Saluti nostalgici [SM=x346227]

Paolo A.
01/12/2006 11:56
 
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FUORI TEMA
Credo che quella di spostare altrove la discussione OT sia una proposta alquanto saggia e sensata.
Francesco
01/12/2006 16:40
 
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maestro tranviere
X TUTTI
Ho aperto un topic apposito. [SM=x346220]

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"Where no man has gone before"
27/01/2007 00:46
 
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Luigi Tenco - Ricordo di un grande artista.
Sono trascorsi quarant’anni da quella tragica notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967 quando Luigi Tenco ci lasciò dopo che la sua canzone “Ciao amore ciao”, di grande contenuto sociale, non fu giudicata dalle giurie idonea a partecipare alla serata finale del 17° festival di Sanremo.

Un biglietto trovato accanto al suo cadavere riportava quanto segue:
«Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda "Io tu e le rose" in finale e ad una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi.».
Cos’era successo?
La sera del 26 gennaio, in un’atmosfera di completo vuoto culturale, a parte qualche eccezione come la stessa “ciao amore ciao”, oppure “la musica è finita” di Umberto Bindi e “dove credi di andare” di Sergio Endrigo, il livello delle canzoni presentate in gara era vana retorica. Prevaleva l’ultima moda canzonettistica prefabbricata denominata “linea verde” (linea della speranza), commentata dallo stesso Tenco nel seguente modo: “In che cosa sperare era poco importante, l’importante era sperare. In che cosa? Che qualcosa possa cambiare? State freschi…
Basta pensare che riguardo alla falsa moda contestataria, in una delle interviste a lui rivolte si rivolse nel seguente modo:
“Non si tratta di protesta, ma di speculazione. Protesta chi si espone, chi rischia, non chi dice cose ovvie che vanno bene per tutti, levati i matti, s’intende.
E parlando dei colleghi:
“Ne avrebbero di temi per una protesta seria, ma quelli non li toccano. Alludono al Vietnam che è tanto lontano e non sono capaci di prendere uno degli argomenti che hanno sotto il naso: il problema della scuola, o certe impossibili condizioni di vita…”. La guerra era davvero un gioco per loro, bastava farsi avanti e non stonare…”.
Per stasera mi fermo qui.
[SM=x346241]
Da domani, note biografiche su Tenco, nonché interventi di due grandi poeti contemporanei, discografia e bibliografia.
27/01/2007 15:14
 
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maestro tranviere
Ciao Amore Ciao ...
... non era proprio tra le sue migliori canzoni. Aggiungo, inoltre, che sul suicidio di Tenco sono stati espressi negli anni tanti dubbi, e non molto tempo fa fu addirittura riaperta l'inchiesta sulla sua morte (da qualche parte ho letto che c'erano sospetti sul marito di Dalida, della quale Tenco pare fosse divenuto amante). Mah.

27/01/2007 18:47
 
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Ciao Amore Ciao ...
X Antonio.
Riguardo ai dubbi espressi negli anni, di cui parli, ne ho avuti sin da quanto appresi la notizia della morte di Tenco e ne ho tuttora, nonostante i risultati dell’inchiesta aperta nel 2005 hanno confermato l’ipotesi del suicidio. Infatti, sia nel mio post della notte scorsa e sia nelle note biografiche che sto limando in attesa di inserirle nel forum, mi son guardato bene dal parlare di suicidio, lo dimostra il fatto che ho scritto “Un biglietto trovato accanto al suo cadavere …”, senza attribuzioni di paternità.
Per quanto riguarda i sospetti su Lucien Morisse (marito di Dalida), lessi anch’io qualcosa anni fa, ma non c’e mai stata alcuna conferma.
[SM=x346219]

[Modificato da Francesco Angrisani 27/01/2007 18.48]

28/01/2007 00:15
 
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Luigi Tenco ha voluto colpire a sangue il sonno mentale dell'italiano medio
Articolo del grande poeta Salvatore Quasimodo tratto da "Il Tempo", venerdì 10 febbraio 1967.
Tornare su un fatto di cronaca alla distanza di due giorni è già fastidioso per il lettore di quotidiani, ma insistere su qualcosa che è avvenuto due settimane prima è forse imperdonabile.
Oggi la morte, le alluvioni, le guerre sono spinte da altre catastrofi o da occasioni mondane nel breve corso di 24 ore.
Ma non siamo qui per fare della morale sulle leggi e sui costumi della nostra civiltà, diciamo invece che la noia è la minaccia che fa ingiallire i volti amati o odiati di ieri.
Eppure vogliamo parlarvi ancora di Luigi Tenco, cantautore, che per un giorno si è conquistato con la morte tanta notorietà come non era mai riuscito da vivo con le sue canzoni. Diciamo per un giorno, perché la gente ha preferito poi dimenticarlo in fretta, quasi per un senso di omertà come sempre avviene quando ci si sente in un certo senso colpevoli, coinvolti. E non siamo forse un po' tutti responsabili dell'atto estremo del cantante, noi che esaltiamo e sopportiamo il carosello del festival, da anni, senza esigere nemmeno un livello minimo di intelligenza nei contenuti delle canzoni?
La gente ha pianto la sua giovinezza, il mito del suicida che è caro al pubblico fin dai tempi dei cantastorie e del melodramma. E subito c'è stato chi ha detto: "Oggi i giovani si uccidono per una canzone! Sono dei deboli, ai miei tempi non si faceva così". Già, il suicidio è un atto di presunzione, un atto di viltà. E allora il suicidio, la sua tremenda soluzione finale, ha attirato su Luigi Tenco una condanna: quella che per lui doveva essere una specie di lezione morale non è stata che una conferma della sua fragilità.
Prendeva i tranquillanti, dicono: perché, domandiamo noi? Perché nei suoi occhi mentre cantava l'ultima canzone c'era la cupa angoscia che tutti abbiamo visto?
Si potrebbe rispondere che i giovani vanno dove noi li lasciamo andare indicando loro la strada con tanto di frecce, manifesti, cartelli. I giovani e in questo caso i cantanti, i divi, sono esseri viventi e non prodotti da lanciare sul mercato e da gettare via quando i gusti dei consumatori reclamano una nuova etichetta. Così avviene nel mondo dello spettacolo e soprattutto oggi in quello dell'industria discografica che va forte, a giri di miliardi. Chi è furbo capisce che le qualità sono difetti agli occhi del pubblico e che solo ciò che è generico e non agita le opinioni dei benpensanti va bene, è lecito. I capelloni, i beat, i folk e i canti di protesta sono accolti purché non superino l'avanguardia rivoluzionaria della Vispa Teresa. Luigi Tenco ha voluto colpire a sangue il sonno mentale dell'italiano medio. La sua ribellione che coincideva con una situazione personale di uomo arrivato alla resa dei conti con la carriera, ha però ancora una volta urtato contro il muro dell'ottusità. Chi non è in grado di domandare un minimo di intelligenza a una canzone non può certo capire una morte.
Il risultato del festival ha reso ancora più stridente il contrasto tra la reazione delle giurie e l'impegno che Luigi Tenco aveva sperato di richiamare con la violenza contro se stesso.
Perciò pensiamo che pochi lo abbiano capito e per questo non vogliamo dimenticare il suicidio di Luigi Tenco che va al di là di ogni sdrucciolevole simbolismo beat.
28/01/2007 18:32
 
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Il suo amore alla vita nel momento stesso in cui aveva deciso di togliersela.
Dopo quello di Salvatore Quasimodo, ecco un altro autorevole intervento; questa volta di Alfonso Gatto, illustre poeta salernitano, che all’epoca della scomparsa di Luigi Tenco curava una sua rubrica sul periodico “Vie nuove”. Lo riporto integralmente (F.A.).
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Da "Vie nuove", 1967.

Più o meno in ritardo sull'avvenimento, sono giunte alla rivista e a me stesso, quale autore di questa rubrica, molte lettere sul caso Tenco. Per rispondere, ho scelto, fra tutte le altre, questa breve e intensa lettera di Lelio Schiavone, Antonio Castaldi e Bruno Fontana che così scrivono da Salerno: "La morte di Luigi Tenco ci ha profondamente turbati. Era uno dei pochi cantanti italiani non stupidi: uno insomma che aveva qualcosa da dire. Ha commesso l'errore di sprecare la sua intelligenza e la sua tenerezza, partecipando alla fiera turistico-commerciale sanremese. Come ha potuto non capire che lì non c'era posto per lui, che le sue ragioni erano altrove, non in quella giungla? Nessuno di tutti quegli amici, che dopo la sua morte sono sorti come funghi, ha saputo vegliare al suo fianco. Nell'ora in cui era il giovane più triste della terra, Tenco era anche il più solo. Dio mio, il clima di questa Italietta mafiosa, bolsa, stupida, spudorata, odiosa, diventa sempre più irrespirabile. Cosa ne dice il poeta Gatto, vostro collaboratore?".

Rispondo. Più e più volte nella mia vita mi è toccato di vedere con i miei occhi grandi fatti della cronaca che sembravano fermare questa "Italietta mafiosa, bolsa, stupida, spudorata" nell'umana considerazione del dolore, nel ripensamento della miseria e della condizione dell'uomo. Più e più volte mi son dovuto convincere che ben presto, dopo il giubilo della retorica comune, i morti erano dimenticati e i vivi si davano pace. Così fu per il delitto di via San Gregorio a Milano: sepolte le vittime, sepolta nell'ergastolo Caterina Fort, dopo qualche anno, quotidiani e settimanali spedirono inviati alle nuove nozze del Ricciardi, marito e padre delle vittime e amante impunito dell'omicida. Così fu per i bambini di Albenga, ai quali tutti, in una memorabile giornata di pianto, promettemmo almeno l'ansia di ottenere giustizia a nome loro per ogni fatto compiuto in nome della "fatalità" e dell'"errore". Così fu per il giovane di Terrazzano che da solo, per le indecisioni delle autorità preposte all'ordine, raggiunse l'aula dove i due fratelli Santato tenevano in ostaggio i bambini, riuscendo a liberarli e avendo per premio, nell'aprir le porte, il piombo concorde della polizia e la versione ufficiale dei giornali, comandati a spacciar menzogna. Solo dopo, a cose fatte, la magistratura ebbe modo di far conoscere e riconoscere la verità ch'era stata nel cuore e negli occhi di tutti i presenti (anche dei giornalisti illustri pagati per mentire).

Così fu per la protesta di Cannarozzo: un atto, il suo, di così umana disperazione che sembrò fermare la vita e proporci, nell'umana pietà per le vittime e per l'attentatore che da sé solo si giustiziò con la morte, quale e quanta era la nostra colpa comune nel lasciare inascoltata la voce dei buoni che hanno (e possono perdere) la pazienza di sopportare sino all'ultimo il bisogno di una casa o del pane per i figli. Tutti questi avvenimenti, cessato l'allarme, caddero e continuano a cadere nel vuoto. L'Italia ufficiale e privata continua a consolarsi con la filosofia del "chi ha avuto ha avuto ha avuto" e del "chi ha dato ha dato ha dato". I lupi e gli agnelli ascoltano insieme le stesse canzoni di Sanremo ove la protesta della "linea verde" cerca di avvicinare nella comune allegria della "rivoluzione ch'è per sempre finita" le speranze di chi paga sessantamila lire per un posto di platea al festival e di chi rimane alle porte e ai teleschermi a applaudire il vincitore.

Luigi Tenco, con la sua morte, non s'è visto nemmeno riconoscere la ragione che l'ha portato a dichiarare il suo amore alla vita nel momento stesso in cui aveva deciso di togliersela. È questo il "suo" testamento che tutti hanno cercato di dimenticare, nell'addurre a stanchezza, a delusione, a fragilità, il suo atto consapevole di amare la vita e di rifiutare una qualunque esistenza, che sia solo l'affronto del lasciarsi vivere, del ridursi a "oggetto" del potere altrui.

Non è un messaggio "intellettuale", anche se Tenco, per intelligenza, per sensibilità, per cultura, apparteneva alla famiglia dei poeti che sanno il valore, il peso, la responsabilità delle parole e di esse vivono e cercano di vivere in un rapporto di conoscenza e di amore con gli altri uomini, per un tentativo d'essere la vita e di chiederle la conferma dei suoi valori. Il messaggio che Tenco ci ha lasciato con la sua morte è un messaggio fisico che c'investe col chiederci se sappiamo pagare di persona le nostre scelte, se riusciamo a patire sulla pelle la sferza degli organizzatori (dai più alti ai più bassi) che continuano ad organizzare feste, festini e cattivo tempo in nome di una "pacificazione" parafranchista che pareggia vittime e vincitori, lutti e allegria.

La commossa lettera degli amici di Salerno ben riconosce che "nell'ora in cui il giovane era più triste, Tenco era anche il più solo". Questa tristezza e questa solitudine sono nell'animo di tutti i giovani che lottano, e spesso sentono di lottare invano, che non vogliono arrendersi a strumentare il proprio essere in nome dell'"avere", che resistono a durare e a vivere per le proprie idee, per una media di comune intelligenza, di igiene comune, di solidarietà operante, che li salvi dalla remissione al fatto compiuto. Il "fatto compiuto", che ci fa piangere per una giornata di giubilo commemorativo, ci restituisce poi agli errori, alle viltà, alle rinunce, all'ordinata amministrazione dell'oblio per le vittime e all'accanimento, all'odio, alla solitudine per chi resiste, per chi lotta sino all'ultimo e sarà egli stesso vittima un'altra volta.

Caro, caro Tenco: non lo diremo mai povero, nemmeno col nostro affetto, nemmeno col nostro rimpianto. Poveri e squallidi sono soltanto i suoi mancati amici, i mancati ascoltatori che non hanno creduto a lui e alle sue timide, ma chiare parole di poeta, che non lo hanno difeso dall'ironia di quegli occhi ebeti e sornioni che dalla platea lo fissavano come un pazzo sovvertitore stretto alle sue mani, affidato per l'ultima volta alla sua voce, come a dirgli: "Perché stai qui, e non con i poeti delle poesie illeggibili, perché sei qui e non sulle barricate di tanti anni fa?".

Le barricate possono tornare sempre di moda, anche se i parolieri di Sanremo e d'altre sedi vacanti per distrazione ci assicurano di no. Quanto ai poeti, almeno a nome mio che sono uno tra loro, posso dirvi che la morte di Tenco non è un fatto compiuto, ma un fatto da aprire ogni giorno come un atto d'accusa contro i "soliti ignoti" che sono al potere dell'acclamata viltà nazionale.

Alfonso Gatto

[Modificato da Francesco Angrisani 28/01/2007 18.34]

01/04/2007 01:14
 
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Joe Sentieri ci ha lasciato…
Il giorno 27 di questo mese (sono trascorsi appena cinque giorni) si è spento all’età di 82 anni un altro grande esponente della canzone d’autore italiana: Joe Sentieri. Ai giovanissimi, forse questo nome non ricorda nulla, a me, ricorda parecchio; non tanto per quanto riguarda la sua prima produzione discografica per la quale divenne famoso (genere musicale alquanto commerciale), ma per i capolavori che scrisse o interpretò dalla seconda metà degli anni 60 in poi, periodo in cui la sua popolarità, ingiustamente, si avviava, man mano, verso il declino, quindi non ebbero quel giusto indice di ascolto che avrebbero meritato. Ne indico alcuni con la speranza che qualcuno, oltre me, abbia avuto modo di averli ascoltati. Si tratta di: “La mia donna, la mia terra”, “Le ore”, “Serata di gardenie”, Cielo grigio”, Un po’ di magia, “Il mio paese”, “La ballata del cavallo” e “La mia passeggiata”; nonché una versione in dialetto genovese di “Ne me quitte pas” composta del grande Jacques Brel . Poiché, da ciò che ho letto ed ascoltato in questi giorni, sembra che a chi ha il dovere di informare (forse per distrazione) certe cose sono sfuggite, ho ritenuto opportuno di precisarle. Spero sia stato chiaro.

[Modificato da Francesco Angrisani 01/04/2007 1.20]

01/04/2007 01:17
 
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A proposito di Joe Sentieri.
Cito un valido articolo di Emanuele Martorelli, tratto dal periodico “CARTA” del 31 marzo 2007.

”Assieme a Tony Dallara e Betty Curtis, Joe Sentieri (all'anagrafe Rino Luigi Sentieri) faceva parte di quel genere esploso nei primi anni '60, quello dei cosiddetti urlatori, che si affermò in antitesi ad un modo vellutato e più consueto di concepire la canzone fino ad allora. Nato a Genova il 3 marzo del 1925, Sentieri era famoso anche per il saltino con cui usava terminare le proprie esibizioni (con suo grande rammarico, sarà uno dei motivi per i quali verrà ricordato molti anni dopo). Nel 1959 aveva vinto l'edizione di Canzonissima interpretando un brano di Domenico Modugno, "Piove". Poi un momento di popolarità vastissimo ed una serie di successi centrati uno di seguito all'altro come "E' Mezzanotte", "Milioni di scintille", "Ritroviamoci" e "Quando vien la sera", con la quale partecipò all'edizione del Festival di Sanremo del 1960 classificandosi al terzo posto. Tutto era iniziato dal porto di Genova, dove giovanissimo si dilettava a suonare la fisarmonica nei piccoli circoli, nel pieno di una società dominata dai contrasti derivanti dal boom economico (perfettamente ritratta in film come "Il sorpasso" o "La Dolce Vita") che stava rivoluzionando lo stile di vita degli italiani creando divisioni nette: temi come il divorzio ed il femminismo cominciavano ad entrare di prepotenza nella vita dei cittadini. Il riflesso dell'America e del rock'n'roll era sempre maggiore e al juke box voci vellutate e gorgheggi iniziavano ad andare stretti. La possibilità di intraprendere una carriera musicale Sentieri l'aveva presentita a bordo delle navi da crociera dove ben presto era diventato direttore di bande musicali. La possibilità di viaggiare gli aveva inoltre aperto le porte dei maggiori locali di New York, dove in breve tempo aveva conquistato una certa popolarità data anche dalle prime apparizioni televisive (la primissima risale al 1948). Poi il ritorno in patria dove per un periodo abbandona l'attività di cantante. Qualche tempo dopo inizierà, proprio dalla sua Genova, il proliferare di una folta scuola di cantautori che rivoluzioneranno il mondo della canzone, da Tenco a Paoli fino a Paolo Conte e Bruno Lauzi.
Se la grande innovazione di alcuni è nella parola, altri si imporranno come veri e propri fenomeni di costume sia nella gestualità che nel modo di porsi al pubblico, più nuovo e spregiudicato. La formalità espressa dai cantanti fino ad allora subisce così un brusco cambiamento grazie all'atteggiamento irriverente e provocatorio di alcuni nuovi volti che cominciano ad affollare il mondo della canzone: personaggi come Adriano Celentano, Mina, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber segneranno una svolta che sarà sintomatica dei profondi cambiamenti sociali di tutto quel periodo. Joe Sentieri sarà annoverato tra gli amati/odiati urlatori, che rappresenteranno l'ennesimo punto di rottura con la tradizione. Interpreterà anche alcuni film di genere detti ‘musicarelli', ossia parodie di film di successo oltre che commedie come "A qualcuno piace calvo" di M. Amendola, "Sanremo, la grande sfida" di Piero Vivarelli, "Bellezze sulla spiaggia" di Romolo e Marino Girolami, "Caccia al marito" per la regia di Marino Girolami, "Appuntamento in Riviera" di Mario Mattoli, "Il giorno più corto", del 1962, di Sergio Corrucci. Riuscirà anche a lavorare con registi affermati come in "Tre notti d'amore", di Luigi Comencini nel 1964, Renato Castellani e Franco Rossi, "La moglie più bella" del 1969 e "Io ho paura" di Damiano Damiani nel 1977.
Anni dopo dirà provocatoriamente: "Ero contento, quando cantavo, ma le canzoni italiane erano così banali. Ero tornato dall'America, dove cantavo un altro genere di canzoni, da Brel a Sinatra, e trovandomi ad interpretare delle canzoncine così, saltavo dalla gioia di aver finito, ed è rimasto impresso a tutti". Dopo una rapida ascesa la carriera di Sentieri aveva subito un graduale declino: investimenti sbagliati e alcune vicende poco fortunate lo avevano ridotto in uno stato di semi povertà, tanto che in una delle sue ultime interviste si era dichiarato "disoccupato, nullatenente e disgraziato". Si è spento per un ictus lo scorso 27 marzo all'Ospedale Santo Spirito di Pescara, dove si era trasferito da tempo assieme alla moglie.”
01/04/2007 11:32
 
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maestro tranviere
Grazie Francesco
Doveroso il ricordo di Joe Sentieri. Mi ha fatto venire voglia di ricercarne le canzoni. C'è qualche foto?

01/04/2007 15:53
 
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Joe Sentieri a Sanremo 1961
La foto che allego risale al 1961 durante l’X1 festival di Sanremo, con Sentieri ritratto insieme a Gino Paoli e Giorgio Gaber.
In detta rassegna, Joe Sentieri partecipò con due canzoni: “Libellule” e la bellissima “Lei”, della quale era autore della musica, su testo del grande Riccardo Pazzaglia.



[Modificato da XJ6 01/04/2007 20.33]

17/04/2007 15:55
 
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VENERDI' 20 APRILE 2007 – MILANO
Venerdì 20 aprile, alle ore 12.00, verrà inaugurata VIA GIORGIO GABER.
La titolazione si svolgerà presso via dei Missaglia 2 - tratto viario a fondo chiuso, originatosi perpendicolarmente al lato numeri pari di via Sant’Abbondio tra i civici 12 e 14.
(dal sito: www.giorgiogaber.it )

[Modificato da XJ6 18/04/2007 18.07]

05/05/2007 13:52
 
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Teatro: Roma, Al Parioli 'Tenco a Tempo Di Tango'
Roma, 4 mag . (Adnkronos/ Adnkronos Cultura) - Un'indagine sui misteri del cuore. Poche parole ma efficaci per restituire il senso dello spettacolo 'Tenco a tempo di tango' del giallista Carlo Lucarelli dedicato alla figura celebre di Luigi Tenco.
Di scena al teatro Parioli di Roma dall'8 al 20 maggio con gli attori protagonisti Adolfo Margiotta e Mascia Foschi, la regia di Gigi D'Aglio, le musiche di Alessandro Nivi eseguite in diretta al pianoforte insieme a Massimiliano Pitocco al bandoneon. Lo spettacolo mescola cronaca e spunti di pura invenzione spaziando da una narrazione tipicamente noir a quella melo'.
Nel dicembre del '65 Tenco fece un viaggio di dieci giorni in Argentina per partecipare all'ultima puntata di una telenovela per la cui sigla era la stata scelta 'Ho capito che ti amo' dello stesso cantautore genovese.
Un viaggio quantomeno strano perche' Tenco in quel periodo, svolgendo il servizio militare, era impossibilitato ad uscire dai confini italiani. Migliaia di persone lo hanno accolto in maniera festante e per Tenco inaspettata. A distanza di un anno il cantautore mori' suicida, secondo quanto riportato dagli inquirenti, lasciando nella memoria collettiva la malia delle sue canzoni attuali ancora oggi.
05/05/2007 15:49
 
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LUNEDÌ 7 MAGGIO 2007 - MILANO
Gaber è con noi
Università Bocconi, Aula Magna, via Sarfatti 25, ore 21.00

Lunedì 7 maggio, presso l'università Bocconi in programma la serata "Gaber è con noi". Per l'occasione si dibatterà sulla carriera artistica di Giorgio Gaber e sul suo costante impegno etico e sociale. Ospiti della serata il giornalista e scrittore ANDREA PEDRINELLI, il Presidente della Fondazione Giorgio Gaber PAOLO DAL BON e il leader degli Estra GIULIO CASALE, che ha riportato in scena, per la prima volta dopo la scomparsa dell'autore, "Polli di allevamento".

Coordinerà del dibattito, FILIPPO GIORDANO
Tutte le informazioni sul sito www.giorgiogaber.it
23/05/2007 23:56
 
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Gino Paoli ricorda Umberto Bindi
Domani 24 maggio ore 20,30, a Genova (Teatro della Tosse), Gino Paoli sarà ospite di una serata in memoria di Umberto Bindi intitolata “Il mio concerto”.
Nell’ambito della manifestazione, canterà: "Il nostro concerto", "Arrivederci" e "Il mio mondo".
Da non perdere.
[SM=x346219]
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