00 22/12/2004 22:04
Davvero erano tempi migliori? Considerazioni sul messaggi di Roberto
Cari amici, premetto che questa volta andrò quasi completamente fuori tema tranviario, quindi, se qualcuno vorrà esprimere le sue osservazioni su quello che ha scritto Roberto e sulle mie riflessioni, si potrà eventualmente aprire una nuova cartella.
Dopo avere letto il messaggio di Roberto Amori (ed avere ammirato, al solito, le sue belle fotografie), sono stato tentato dall'impulso di associarmi ad Augusto ed esclamare a mia volta: "Parole sante, Roberto, parole sante!"; riflettendo, però, credo di non poter condividere le sue conclusioni.
Certo, anch'io, che ho vissuto e rammento bene gli anni '50 e '60, non posso fare a meno di ricordarne con nostalgia gli aspetti che egli ha così bene evidenziato; mi sembra però che nel giudicare un periodo storico sia bene non farsi influenzare da considerazioni sentimentali e personali. Se si prescinde dalla commozione che deriva dal ricordare gli anni della propria giovinezza, allora quegli stessi anni appaiono, temo, sotto una luce assai diversa.
Nel mondo dei nostri padri e nonni, è verissimo, non imperava ancora il consumismo volgare ed insensato dei nostri tempi, e forse (sottolineo, forse) certi valori umani, solidarietà, senso dell'appartenza alla comunità, vincoli familiari, venivano tenuti in maggior conto rispetto ad oggi. Ma vi sono altri aspetti di quel periodo da ricordare senza alcun rimpianto. La società italiana del dopoguerra, anche se pervasa da quell'ottimismo che sempre si diffonde tra i popoli dopo la fine di un terribile conflitto, era comunque una società rigidamente divisa in classi, vorrei dire quasi, in caste, dalle quali si poteva uscire solo con estrema difficoltà. A fronte di una borghesia che manteneva un tenore di vita più o meno accettabile, stava una classe di contadini, ancora numerosi all'epoca, costretta a vivere in condizioni poco più che medievali in almeno metà del paese: niente luce elettrica, niente acqua corrente, spesso in promiscuità con animali, e se qualcuno pensa che stia esagerando, vada a vedere qualche collezione di foto dell'epoca. Migliori, ma pur sempre dure, le condizioni di vita di quella che allora si definiva a pieno diritto classe operaia: bassa scolarizzazione, orari di lavoro estremamente pesanti, alloggi piccoli e freddi, di regola situati in periferie degradate fin dal momento della loro costruzione. Quegli stessi tranvieri che conducevano le simpatiche MATER che hanno fornito lo spunto per le nostre considerazioni lavoravano per salari di pura sussistenza, obbligati a turni estenuanti, magari dopo aver dormito la notte in deposito sdraiadati su qualche panchina.
Il clima dei tempi era improntato ad un oscurantismo oggi francamente impensabile: si poteva finire in carcere semplicemente per aver tradito il marito (ma non la moglie!), per avere intonato un inno pacifista (vilipendio alla bandiera), per avere osato scrivere di sesso sul giornale della scuola (ricordate il caso "Zanzara" nella civilissima Milano della metà anni '60?), per aver utilizzato droghe di qualsiasi tipo (vi ricordate del povero Chet Baker?), per essersi baciati su un prato (atti osceni in luogo pubblico), per avere indossato un abito dalla scollatura troppo audace (magari rischiando anche di buscare due schiaffi da parte di un futuro presidente della repubblica, che quel grande gentiluomo che era il principe de Curtis proprio per questo motivo sfidò a duello).
La repressione nei confronti di coloro che osavano manifestare il loro dissenso nei confronti dell'ordine costituito era sempre estremamente dura, talvolta spietata: ne fanno fede i morti di Genova e di Reggio Emilia. Nelle manifestazioni di piazza, spesso i famigerati reparti O.P., composti peraltro da giovani che altra via non avevano per sfuggire alla miseria delle campagne del Sud o del Veneto (l'attuale ricco Nord-Ovest!), picchiavano senza riguardo chiunque capitasse loro a tiro, senza che vi fosse per le malcapitate vittime (non facinorosi, come allora si leggeva sui giornali, ma quasi sempre lavoratori che legittimamente cercavano di affermare i loro diritti) alcuna possibilità di rivalsa in sede di giudizio penale: semmai, si rischiava l'incriminazione per resistenza alla forza pubblica.
La smilitarizzazione della Pubblica Sicurezza, Franco Fedeli ed il suo movimento "Polizia e democrazia" erano ancora lontani. Per giungere a forme di maggiore equità sociale bisognerà aspettare la fine degli anni'60.
Molti elementari diritti civili erano ancora sconosciuti, dal divorzio alla parità tra i sessi; diffuso a tutti i livelli era invece un sentimento di forte ostilità nei confronti di chiunque non si adeguasse al modello sociale allora imperante: diffidenza e più spesso aperto disprezzo verso gli obiettori di coscienza, i pacifisti, gli omosessuali, le coppie di fatto (si ricordi l'infamante marchio "figlio di N.N" per i figli nati da unioni non regolarizzate), gli artisti, perfino verso quelle donne che avevano l'unico torto di non essersi mai volute sposare, spregiativamente definite "zitelle", erano la regola. Uno strisciante antisemitismo pervadeva gran parte della società del tempo, per non dire della considerazione in cui venivano tenuti i popoli del terzo mondo, considerati da molti, se non dai più, come esseri umani di livello inferiore. Ed ancora: famiglie in cui la volontà dei padri era legge (ricordate "Padre padrone" di Gavino Ledda?), assoluta noncuranza nei confronti dei diritti degli animali (quegli stessi contadini che saggiamente ricavavano candele dal grasso di maiale erano gli stessi che frustavano senza pietà i loro asini e tenevano perennemente alla catena i loro cani), nessuna attenzione per l'ambiente, il cui scempio in grande stile è cominciato proprio in quegli anni...
Varcando i confini nazionali, ci si imbatteva, salvo rare eccezioni, in realtà non migliori: nei due capisaldi della democrazia europea, Francia e Gran Bretagna, la pena di morte era ancora in vigore, e di frequente comminata, in Spagna e Portogallo dominavano regimi di puro stampo fascista, nella civilissima Svizzera il diritto al voto della popolazione femminile era fortemente limitato. Siamo proprio sicuri che cinquanta anni fa si vivesse in un mondo migliore? Non credo proprio, e francamente credo ancora meno che, cito Roberto, "eravamo tutti meglio". Non per caso la generazione a cui appartengo, in uno slancio di generosa utopia, voleva semplicemente "cambiare il mondo": non c'è riuscita, d'accordo, ma almeno un contributo al suo miglioramento, mi pare, è riuscita a darlo.
Vi saluto cordialmente,
Paolo










Paolo Muraro