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VICENZA

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2014 14:21
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27/09/2011 14:16
 
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tranviere veterano
Racconti & Ricordi.
Altro link altra corsa:

http://www.roetta.it/trains/old_ita_trains.htm


La vaca mora a Recoaro nei primissimi anni di esercizio (1880-1909)


La stazione nella diramazione di Chiampo nel 1890


Anno 1931 motrice Breda impianto elettrico TIBB successivamente convertita a rimorchiata.


Famosa foto alla stazione di Valdagno negli ultimi anni di esercizio( qui siamo nel 1979) con la classica Stanga/TIBB del 1929.


Mia nonna da piccola quando poteva permetterselo ci saliva su questo treno per venire da Recoaro a Valdagno, non ricorda molto perchè quelli erano tempi duri, di tanta fatica e tanti sacrifici, del treno si ricorda che faceva un baccano assordante, emetteva un fumo nero e denso e andava talmente piano che potevi tranquillamente rincorrerlo a piedi se era già partito, ma adesso vi racconto un pò la storia del trasporto nella provincia di Vicenza con articoli che ho trovato di qua e di là.

La storia della tramvia inizia nel gennaio del 1878: gli ingegneri Ignazio Avesani e Pompeo
Marini presentarono alla Deputazione Provinciale Vicentina un progetto di massima per la
costruzione di una tramvia tra Vicenza-Arzignano-Valdagno (fino al bivio della miniera di carbone
fossile in località Pulli). La tramvia avrebbe avuto quale mezzo di locomozione una motrice a
vapore. Il Consiglio Provinciale, dato che la società formata dai due ingegneri si sarebbe
sobbarcata gli oneri d’impresa, espresse parere favorevole circa la realizzazione della tramvia.
Nel 1879 a Valdagno, data l’importanza della realizzazione di una strada ferrata di
collegamento tra Vicenza e Valdagno, si demolì l’esistente ponte di Nori, realizzato in pietra,
sostituendolo con un altro costruito in ferro. Il 14 maggio e il 16 giugno 1879 furono redatti
rispettivamente il preliminare di concessione (della durata rinnovabile di sessanta anni) e il
capitolato d’appalto per l’esercizio della Tramvia Vicenza-Arzignano-Valdagno. Questi atti
concedevano agli ingegneri Ignazio Avesani e Pompeo Marini, una volta ricevute le varie
autorizzazioni di poter iniziare, a loro rischio e spese, i lavori per la realizzazione della tramvia, con
la possibilità di cedere a terzi la concessione. Il progetto prevedeva la sistemazione delle strade
percorse (allora in buona parte strade transitabili con difficoltà da carri trainati da animali) con una
carreggiata non inferiore ai 7 metri al di fuori dei centri abitati e una pendenza mai superiore al
3,5%.
Il 29 maggio 1880 gli ingegneri Ignazio Avesani e Pompeo Marini cedettero la concessione in
loro possesso alla società inglese “The Province of Vicenza Co. Ltd.”, costituitasi a Londra il 28
maggio 1879 ma priva delle garanzie richieste dal Governo italiano per operare nel territorio
nazionale. Vi furono commenti sdegnati nei confronti dei due ingegneri, ma grazie
all’interessamento dei parlamentari Gaetano Marzotto senior e Toaldi, nei primi mesi del 1880 l’impresa inglese fu messa nelle condizioni di lavorare. Fu firmato un nuovo accordo tra ”The Province of Vicenza Co. Ltd.” nella persona del proprio procuratore sig. Luigi Bertini e la Provincia di Vicenza. Quest’ultima, al fine di evitare manovre speculative, espresse chiaramente che la concessione e i diritti acquisiti non potevano essere ceduti a terzi senza il consenso da parte del Consiglio Provinciale di Vicenza.
Nei mesi di giugno e luglio del 1880, i lavori proseguirono alacremente finché, sia pure in ritardo rispetto alla data prevista dell’inaugurazione (fissata inizialmente per il 1° giugno 1880, poi 1° luglio, indi il 15 luglio) il 2 agosto ebbe inizio il primo viaggio del tram lungo la tratta Vicenza-Arzignano-Valdagno.
Il primo periodo di gestione della tramvia fu costellato da incidenti più o meno gravi: o alcune
avarie impedivano le corse del tram, oppure vi erano rovinose uscite di binario a causa delle quali
spesso si contarono delle vittime. In seguito a questi incidenti, la sicurezza per i passeggeri e la
regolarità dei viaggi cominciarono a raggiungere uno standard più elevato.
Nel 1885 la linea tramviaria raggiunse anche lo stabilimento della Manifattura Lane Gaetano
Marzotto & Figli S.p.A. del Maglio di Sopra, garantendo così l’arrivo dei vagoni per trasporto merci
di lane, provenienti in maggior parte dall’Australia, e la relativa spedizione dei prodotti finiti.
A partire da questo periodo, la locomotiva a vapore fu affettuosamente battezzata dalle persone della vallata la “Vaca mora”, termine traducibile in ‘vacca scura’ a causa del proprio colore nero e degli sbuffi di vapore e carbone che emanava quando era in funzione.
Il 15 dicembre 1906 fu costituita la società anonima denominata “Società Tramvie Vicentine” con un capitale di £ 900.000 la quale subentrò di lì a poco alla società inglese “The Province of Vicenza Co. Ltd.”, rilevandone le azioni per £ 1.380.000. La nuova società si era costituita su interessamento del presidente della Banca Popolare di Vicenza e degli istituti di credito della provincia.
Il 17 giugno 1907 fu presentato, presso la sede della Provincia di Vicenza, un progetto di
massima (a firma dell’ingegnere Francesco Dani), relativo alla sistemazione della strada che
congiungeva Valdagno con Recoaro Terme, nella previsione di realizzare il prolungamento della
linea tramviaria fino alla località termale.
Il 27 luglio 1907 il Comune di Valdagno deliberò lo stanziamento di £ 5.000 (in oro) per la
sistemazione della strada Valdagno-Recoaro, per renderla adatta al passaggio della tramvia.
Il 2 marzo 1908 iniziarono i lavori di sistemazione della strada, lavori conclusisi nei primi mesi
del 1909. Grazie all’interessamento dell’onorevole Vittorio Emanuele Marzotto presso il parlamento
a Roma, l’11 giugno 1909 si ottenne la concessione governativa da parte del Ministero dei Lavori
Pubblici per la realizzazione del proseguimento della linea tramviaria fino alla località Molini di
Sotto, frazione di Recoaro Terme.
Il 18 luglio 1909 fu inaugurata la linea tramviaria che congiungeva Valdagno con la località di
Molini di Sotto. Poiché la pendenza era tale da non consentire alla motrice di proseguire oltre, i
villeggianti potevano raggiungere il centro della città di Recoaro Terme con un servizio di carrozze trainate da cavalli.
Il 18 luglio 1910, con l’acquisto di motrici più potenti, fu ultimata la linea tramviaria che
congiungeva la località di Molini di Sotto al centro di Recoaro Terme.
Negli anni 1915-1918 la Società Tramvie Vicentine mise a disposizione delle Forze Armate tutto
il proprio materiale rotabile lungo la linea tramviaria Vicenza-Recoaro, garantendo così la mobilità
dei mezzi militari e delle truppe, che poi raggiungevano le località di guerra di Valli del Pasubio e
dell’Altopiano di Asiago.

ANDATA E RITORNO VALDAGNO-VICENZA, UN VIAGGIO IN VACA MORA

Andata

Per andare a Vicenza c'era , per chi non aveva Mezzi propri, solamente il tram. Nei vecchi tempi, di sessanta e più anni fa, in cui rinverdiamo queste memorie, nessuno aveva i Mezzi e per andarci era un'avventura, d'estate «almanco male» , ma d'inverno un guaio .
La partenza nelle ore piccole del mattino, ancora notte . Notti d'inverno, lunghe, in quell'ora il buio è ancora profondo e più intenso il freddo. Le vie del paese sono deserte, qualche fantasma di donnetta zoccolando frettolosa va in chiesa dove Pegnata, il sacrestano, ha appena aperto; qualche fornaro e un silenzio alto, spettrale.
Ombre vaganti imbacuccate in tabarri, in scialli, scendono dal paese alla stazione lontana, segnata da una tenue luce rossastra che si perde nella notte. Il convoglio tranviario è li, formato, che attende, nero anche lui, quasi da non vedersi se non fosse per la « macchina » in pressione che soffia vapore e acqua calda da tutti i buchi e l'aprire e chiudere del focolare che manda bagliori sinistri. Quelle ombre, quella specie di esseri viventi, sono i viaggiatori. Non vanno subito al tram.
Tanto il tram può aspettare!
Vicino c'è il caffè di Nane Reniero (« Nane Stasion »), fatto apposta, e s'infilano dentro. Si sciolgono dei panni, si liberano momentaneamente dei fagotti. Nane sta al banco con due grosse « cogome » dí caffè caldo.
Chi prende il caffè solo o corretto con la graspa, chi un « cucchetto », un decilitro di graspa, magari fanno il «rasentin », cioè la graspa presa nella chicchera stessa del caffè bevuto. Si conoscono tutti. Valdagno di quei tempi non è mai stato un paese di forestieri. La conversazione è dura da attaccare, sono insonnoliti, le voci rauche, il cervello sta ancora nel letto caldo di casa appena lasciata. Pagano e stanno lì in piedi. La porta si apre di botto: è Ceroni, il capotreno, conducente, bigliettaro e all'occorrente frenatore.
« Signori si parte...! Avanti ndemo, movive fora, quanto ghe vole? ».
No! Non è vero, la colpa è sua, si aspettava lui, è lui che ha tardato, è lui che ha torto.
Cominciano già le proteste; fino Vicenza ce ne saranno delle proteste! A torto o a ragione viaggiatori e clienti d'albergo, di tutti i tempi, protestano sempre, secondo loro c'è sempre qualcosa che non va.
Riprendono i fagotti, fagotti di merce più stravagante, magari qualche pollastro, attraversano il buio e invadono il treno.
La trombetta di Ceroni dà il via, la macchina fischia e la caravella del Tram, cigolando, sballottando scende la strada dei Noni. Ceroni distribuisce i biglietti. Sono nastri di carta, verdi per la prima classe e rossi per la seconda.
Per ogni fermata dieci centimetri di carta; fino a Vicenza è un bigolo lungo un metro e mezzo che vien pieghettato ben ben e infilato tra il nastro del cappello per non perderlo; ad ogni fermata ne staccano il tratto relativo, per controllo, a Vicenza arriva senza niente.
Prima fermata la « Casa Bianchina », un po' prima della Spagnago di adesso, poi Cornedo, la « Molonara », ora Cereda, e tutto fila bene; qualcuno è smontato
e qualcuno è salito. Intanto comincia baluginare, le conversazioni attaccano e in vettura fa un po' caldetto.
E si giunge a Palazzetto. Qui fermata straordinaria e fin che la macchina fa acqua e tira su la pressione si approfitta per andare in trattoria dalla Siora Melia col vin caldo, pan fresco, tanto fresco da essere ancora caldo, soppressa, pancetta, luganeghe, altri generi simili. Scendono. Per prima cosa vanno contro la « passaia » dandosi un gran da fare coi pantaloni, l'inverso di quello che sta facendo la macchina.
Bisogna ristorarsi: un boccone di qualcosa e un bicchiere di « vin de Valle »
Ormai il sonno è passato, gli occhi sono vivi, baffi e baffoni di tanto rispetto guazzati di vino e ganasce in lavoro.
Si chiamano, si offrono il bicchiere, attaccano discorsi; qualcuno sbircia in spazzacucina a cercare la serva. Gli astemi rimasti in vettura cominciano brontolare per il prolungarsi della fermata, ma più per invidia, per contrarietà. Gli astemi, le bocche difficili, gli stitici sono sempre pessimi compagni e guastafeste.
L'ambiente è accogliente, di odore vinoso, col camino coi caregoni e un bel fuoco acceso che spande un caldetto casalingo. Accogliente anche la Siora Melia, accogliente anche la serva diciottenne, la Santina di Gambuian, bianca e rossa, bella fresca come « on boccolo de rosa », prosperosa e tondeggiante, di forme sode.
Quasi, quasi vien voglia di non partire più se non fosse perché c'è l'incontro col tale a Vicenza, con tal'altro da Arzignano, per qualche affare da combinare per cui si porta in regalia un pollastro e poi quei fagotti attaccati alle costole che non ti sai come liberare; e conviene al richiamo trombettiero di Ceroni risalire il tram. Proprio adesso che si sta facendo giorno.
I ragazzi non stanno fermi, cominciano agitarsi, vorrebbero abbassare i vetri dei finestrini, guardare fuori, vogliono fare pissin, proprio adesso che il tram s'è rimesso in moto; le femmine li portano in piattaforma, e lì al vento si innaffiano i calzoncini. Fortuna che non si mettono in testa di fare qualche altra .cosa, che allora se ne vedrebbero di belle. Magari anche pretendere di fermare il tram. « Poareto galo da farla in braghe, ciò! Fermare on fiatin poco costa ».
Gli uomini si raccontano le novità, storie e fatti, grassi e piccanti; attraverso il fumo corre la risata. Le donne sono curiose, godono e ascoltano senza voler parere, ridendo, con gli occhi lustri, coprendosi mezza la faccia col « fazzoletton », per ritrosia, dandosi di gomito, sbirciandosi tra loro. Qualche « fiol d'on can » fa la mano morta con la vicina, l'altra lascia fare, con tanto dondoli() finge di non capire.
Qualche donnetta va a Monte Berico per devozione, per un voto, col rosario in mano biascica orazioni. Le mutrie, gli astemi, sono sempre ringhiosi non va bene niente, specie adesso che dà noia il fumo, l'odore di vino e poi... tutto e tutto che non và. Intanto passa via Trissino, la Ghisa, ecco San Vitale.
San Vitalee... per Arzignano, Chiampo si cambia!
Scendono quasi tutti, anche senza bisogno di cambiare, basta che ci sia un posto da bere. Il posto c'è, c'è anche quella coi marroni caldi e i « peri coti », quella stessa di « bela la ua », « fresca la ua » dell'estate, che fra l'altro, poveretta, è finita sotto il tram vittima del lavoro.
Quattro maroni o una pera cotta e dentro a bere un bicchiere. Ecco i sensali da Arzignano, dalle Tezze, fasciati stretti nel tabaro col bastone penzoloni al braccio e il cappello tirato sugli occhi.
Su tutti, si riparte! Bisogna riguadagnare il tempo perduto e spicciarsi per Vicenza.
Ormai s'è fatto giorno del tutto, ma persiste la nebbia, ai finestrini il paesaggio brumoso passa lento, soffocato. Può succedere, non raramente, anche, che il convoglio abbia un rabbioso stridore di freni della macchina con fischi. Ceroni corre fuori in piattaforma e da di mano alla « macanìca », il freno a mano di emergenza della carrozza aiutando così quella della macchina e tutto si ferma.
Grande scompiglio, calano i vetri dei finestrini, tutti si sporgono, si sbilencano fuori, vogliono vedere cosa è successo. Il personale va a vedere, si ode un bisticcio. Non è niente: un carro di letame sbucato da una boaria. I buoi spauriti si sono messi di traverso. Allora il macchinista scende e con quattro briscole, sgombra la via e il tram riparte. I finestrini si richiudono, ognuno si siede, sono un pochino delusi, si aspettavano qualcosa di più, magari un po' di sangue fra le ruote. Si sa, il popolo ama sempre le cose forti (a spese degli altri).
Tavernelle è passato, passato l'Olmo, il bigliettario ritira l'ultimo tagliando di biglietto; questo è il più faticoso, non si trova mai, l'avea qua... L'avea la... no lo cato più! ». Vuota le tasche, vien fuori tutto il bazar.
Ecco la fermata di San Felice. Siamo ormai in città. Alcuni smontano e sbrissiano dentro all'osteria della « Fulvia ». E finalmente s'è arrivati!
Ora succede il contrario di quanto successe in partenza. Tutti hanno fretta di smontare. Tirano giù i fagotti, qualcuno scappa e va finire, proprio, sulla testa d'un bastian contrario che comincia strillare.
Con le gambe intorpidite cominciano per scendere, con l'ingombro dei fagotti, il tabarro scivola dalle spalle, l'altro che segue, lo calpesta, incespica, brontola. Mette giù i fagotti e tira su il tabarro, tira su i fagotti e va giù ancora il tabarro. Siamo ancora in corsia della carrozza e ognuno ha una fretta matta vedendo i precedenti che sono già all'uscita. C'è il pisciatoio, tutti hanno bisogno d'andarci, fanno la coda, par far presto cominciano sbottonarsi prima e poi vanno via a gambe larghe abbotonandosi.
Ora non si conoscono più, ognuno per sè e sfilano in tutte le direzioni.

Ritorno

Al ritorno si capovolgono tutti i fenomeni dell'andata. Sono puntuali, vanno diritti al treno, sono più disciplinati, qualcuno che ha alzato il gomito un po', è in « cerina », ride e fa ridere gli altri. Per prima cosa si raccontano dove sono stati a mangiare, cosa hanno mangiato, bevuto, quanto hanno pagato. Hanno mangiato bene e neanche pagato caro. Sono stati da « Vittorio », al « Cavaletto » in piazza delle Erbe, alla « Rosa », al « Pozzo Rosso », alla « Torre Vecia ». E, naturalmente, per ultimo, non si può lasciare Vicenza senza passare da « Gobbo », dietro il Duomo, da « Crosara », in Piazza Castello, dove tengono sempre quel buon vino nostrano.
Le mutrie, i roversi, sono stati dalla « Pantegana » a San Giacomo, dalla « Cuccarola » a Ponte degli Angeli, hanno mangiato male e pagato caro. Il personale è screanzato. Sono clienti difficili, presuntuosi che battono sui piatti. Non c'è al mondo dispetto più grande per camerieri, come quello di battere sul piatto; è come le si battesse sul...!
Non prendono vino e il cameriere fa un risolino, poi si volta verso la cucina e chiama ad alta voce: « Un minestrone, senza vino, che il pane ce l'ha lui »! Tutti ridono, l'altro si rode e mostra il dente velenoso.
Il tram arranca allegro. Ceroni non c'è, questa corsa tocca a Crístofoletti, che raccoglie i soldi e dà il nastro. E via con qualche fischietto. Le compagnie « ciacolano », ognuno ha qualcosa da raccontare. Sono stati a vedere le « erbarole », quelle che vendono ortaggi in piazza, pezzi di belle more col cappello di paglia nera di Firenze e la penna di struzzo, con le cotole rialzate puntate con spilli di sicurezza mostrano una spanna di gambe.
Zan, racconta l'avventura successagli. Colta da una occulta necessità corre da Pacina, sotto la Torre. Bei cessi, nuovi, con le piastrelle; come adesso. Una palanca per... consumazione. Zan sta lì a godersi la palanca dopo la consumazione che le capita a tiro una delle sue, coi suoi centoventi chili, con un rumore da vetri rotti; manco farlo apposta nella cabina accanto c'è una mutria che suda e fatica: « Gnanca vergogna! ». E Zan. « Cossa vorlo co na palanca sentire anca la boeme? ». E giù, tutti a ridere spassosamente.
Fuori è buio.
Si passa tortuosamente per la via principale di Montecchio con le botteghe e le case con le luci accese. Fa un bel vedere stando beatamente seduti! Tutti hanno la loro da dire di « Montecio »: che piantano fagioli e nascono ladri, che per non rubarseli, anche fra loro, da furbi, li piantano fondi con la pistola.
Si arriva a San Vitale, dove i treni cambiano, e tanto per cambiare aria si va far visita di cortesia dove vendono vino, sentire anche se l'hanno cambiato. Quanti protesti! I sensali dopo tanti « tira e mola » e schiaffi sulle mani, per contratti fatti, se ne vanno per l'altra strada. Cì sono quelli che tornano da Arzignano, da Chiampo e s'imbarcano nella comitiva; anche costoro aggiungono la loro chiacchiera.
Palazzetto! Qua bisogna andar giù, non li fermerebbe nemmeno il Patto Atlantico. Una riverenza alla « passaia » e dentro dalla Siora Melia. Il fuoco è maestoso, gira l'arrosto coi « osei » e sotto una leccarda grande come una gondola, piena di polenta, anche la cucina « conomica » va a vapore con « pignatte, tece, casserole », un forno grande da mezzo vitello.
Che profumo, quanto ben dì Dio! Com'erano, e come sapevano tessere felici una volta!
Una fettina di polenta con « on'oseleto » o con una luganega e « vin de valle ». I soliti discorsi, le solite « ciacole » con la parona, con gli avventori. Lo scambio dí bicchiere.
Le osterie, gran bella invension; altro che il telegrafo senza fili!
Cosa interessava loro la posta, il telegrafo? Lo scrivere li faceva sudare una camicia. Gli affari si concludevano sempre per bocca, e basta. Carte e firme alla larga, tutta roba che ti porta dagli avvocati.
« Sta meio on sorze in l'oca al gaso
che on cristian in man de
on'avocato! ».
Cristofolettí con la trombetta suona la chiamata. Anche la macchina fischia all'occorrenza. Si riparte. Il tram corre, corre la strada, corre il buio, tutto corre veloce (?).
« Corre le rue, corre el paron,
corre la serva, corro anca mi! ».
Via Cornedo, Casa Bianchina e si affronta rabbiosamente di petto la salita dei Noni strepitando e sbuffando scintille. Ce la fà, o non ce la fà? Se ce la fa arriva in stazione sfiatato e si squaglia con un lungo sospiro vaporoso; se non ce la fa rincula e si ferma un po' prima del ponte, a mettere su pressione e poi parte ringhioso alla riscossa.
Ma ci fu una volta che successe un fatto notando. Una sera sul finire di not vembre, il convoglio aveva da poco lasciato Palazzetto, che uno schianto orrendo in macchina blocca tutto. Nelle carrozze succede « on repeton » maledetto, gli uni si sbattono contro gli altri, e giù pacchi sulla testa.
Cos'è, cosa non è, tutti corrono. La macchina è di traverso sulle rotaie, coricata di fianco, soffiando come un mostro abbattuto. Il fuochista, nero come uno scarafaggio, con uno stoppaccio acceso, col macchinista, guarda dentro fra le ruote.
Si alzano: « Se ga roto el roncon! ». Nessuno sa cosa sia « el roncon », ma tutti hanno « la sua » da dire.
Un ferro così grosso a rompersi! Ma cos'è, com'è? È quel ferro come un braccio che « para le rode ». Non si potrebbe attaccarlo, magari con del « fin de fero » tanto da arrivare fino a Valdagno. Sì, ma poi chi mette in strada la macchina?
Assediano il povero Cristofoletti: E noialtri cosa femo, dove andemo? Voialtri? Rangève! E il biglietto pagato, e il rimborso? Non si ricevono le lagnanze, l'ufficio è chiuso. Domani mattina presentarsi dal capostazione. I bagagli saranno custoditi e consegnati col prossimo treno successivo. Per adesso niente da fare!
Per darsi da fare tornano tutti al Palazzetto ch'è lì a poche centinaia di metri. Nessuno si fida partire solo. Hanno paura del buio, dei cani, dei fantasmi nella notte, che a quel tempo ci credevano molto.
Per darsi coraggio bevono tutti. Il vino è una gran medicina. Basta leggere le allegre vicende del patriarca Noè.
Ma tutta la notte a Palazzetto non si può stare. Sí decidono a farla a piedi. Fino a Valdagno con un'oretta e mezza se la fa, salvo il beneficio delle fermate obbligatorie.
Partono, non c'è luna, si sprofondano nel buio, seguono la pista della inghiaia-tura stradale, che a mala pena si intravvede. Man mano che si prende l'occhio si avanza più sicuri. Qualcuno che all'occorrenza ha bevuto un po' dí più, attacca i bagoli. Si comincia a cantare. Tanto anche se si piange non si rimedia a nulla!
Ridono anche i « bastian », anche se le donne cominciano cantare. Si sente qualche voce d'allarme: Ehi! sior, el diga, su co le man! Senza ferale gnente da fare. Camminano. Caso strano son tutti allegri.
« Da Milan se va a Torin
sempre viajando in caretin.
Amore, amore, amor
la rosa la xe on bel fior! ».
Ecco la « Molonara! ». No, è un'osteria tetra, fumosa, angusta. Avanti! A Cornedo sosta da « Traca ». Altra bella osteria dentro un recinto di cancellata. Ironia del caso proprio dove si ferma il tram!
Sí rimettono in strada, l'allegria aumenta, nessuno è stanco. In quei tempi il camminare era molto usato. Erano comuni le gite a piedi domenicali fino a Castelgomberto, salendo e scendendo i poggi solatii di Cereda, e tornare, sempre a piedi, per lo stradone provinciale; naturalmente con le relative fermate nei « capitei » senza santi. L'allegria e la compagnia fanno più breve la strada.
Si conclude con l'adagio di « Tutto il mal non vien per nocere », senza l'incidente del « repeton » non si sarebbe passata una serata migliore.
I lazzi, le burle, le chiamate s'intrecciano nell'oscurità, nutrite dal « gotin » bevuto.
Tra il lusco e il brusco, tra il tí vedo e non ti vedo, qualche coppia, con gli occhi spasimanti, si saranno leccati qualche bacio. Pazienza! C'è tanto posto fuori da starci anche questi. Si crede, però, con giudizio certo, che più in là non siano andati. Le donne; allora, erano stupidamente oneste. E intanto:
«Tu, tu el tranvai
La Gondola, el vapore
Tutte figlio Cose ormai
Che han perso OGNI valore.
La ferovia xe Rota
palanche no nè GHI,
Più chi no ga Bessi
GHE Loca farla una torta! ».

E arrivano a Valdagno. In un battibaleno si sparge la sensazionale notizia «el tran le andà for de strada! ». Robe da Campana martelo!
questa è una storiella del tram rifatta da tempi vissuti, lontani e felici.


http://www.truck-italia-forum.com/BB3/viewtopic.php?f=57&t=997&start=70
[Modificato da Cori x 27/09/2011 14:19]
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