Invece di parlare senza riflettere (perchè mi pare questo stia facendo), leggiti con attenzione quest'articolo di Piero Craveri
(non l'ultimo fesso) uscito sul Mattino di domenica:
Venerdì a sera tarda, conclusosi il concertone che chiudeva la prima tornata di questa riesumata festa di Piedigrotta, Massimo Ranieri, come vuole il protocollo, ha ringraziato le autorità che avevano reso possibile la manifestazione. Al nome di Antonio Bassolino una parte del pubblico ha vivacemente fischiato. Le feste sono feste e i fischi sono fischi. Non vogliamo sovrapporre le due cose. Siamo lieti che Piedigrotta sia riuscita, senza volerla caricare di significati ulteriori. Bassolino aveva dichiarato che è «la festa di Napoli, della sua storia, della sua identità», caricandola invero di un significato troppo esclusivo, perché la storia e l'identità di Napoli sono molte altre cose. In questa sua enfasi retorica c'era un tocco in più. Non si può evitare di notare che in questi ultimi anni si è stabilito un legame tra «festa» e «politica», che invero snatura ambedue. Perfino il Primo maggio, giorno in cui un tempo i lavoratori confluivano nelle piazze per udire i discorsi dei sindacalisti, troneggia ora il palco dei cantanti. Feste e manifestazioni politiche di piazza si confondono sempre di più. E alcuni sindaci - Bassolino è stato tra questi - puntano molto sulle feste, come momenti corali collettivi. A ben guardare ciò segna un tramonto della politica, che ha poco da dire e non interessa più. Certo la festa omologa, per sua natura non distingue, tanto meno contrappone, rosso e nero. Ma proprio per questo diventa un implicito e indefinito simbolo di consenso, in una società sempre meno plurale, priva di stimoli e di reazioni, in cui la vita pubblica segna sempre di più un vuoto di idee e di passioni. La politica lentamente scompare, resta il potere, che nella festa vuole vedere riflesso un plauso corale e collettivo. È bene ricordare che le feste nascono, fin nelle società primitive, come momento catarchico, precostituito per liberarsi attraverso di esse dai pesi e dalle preoccupazioni quotidiane, in un transfert collettivo, che assume spesso anche significati religiosi e, com'è noto, nella tradizione che è giunta fino a noi, continua a mescolare elementi pagani e cristiani. Nella forma nuova della festa a cui sopra abbiamo accennato c'è qualcosa di ulteriore, c'è la ricerca di una deriva plebiscitaria di consenso politico, implicito e indiretto, quanto si vuole, ma tale, con la sovrapposizione dell'immagine della festa a quella della realtà. Per questo i fischi che si sono levati a piazza del Plebiscito sono un evento da rimarcare. Perché segnano la differenza necessaria tra la festa e la realtà oggi drammatica di Napoli, che non c'è festa che possa far dimenticare. Sono una manifestazione istintiva di responsabilità, che chiama in causa altre responsabilità politiche. E per quanto possa essere per molti amaro dirlo, segnano anche il tramonto di popolarità di un protagonista della nostra vita pubblica, quale è stato Antonio Bassolino.
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