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Ultimo Aggiornamento: 16/11/2004 10:21
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15/11/2004 17:48
 
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Registrato il: 27/10/2004
apprendista tranviere
Per chi va, per chi resta.
Due Satana superbi ed una Demonessa non meno sublime hanno asceso la notte scorsa la scala misteriosa da dove gli Inferi azzannano la fragilità dell'uomo addormentato ed entrano in comunione segreta con lui. Una luce sulfurea fiottava dai tre, netti sul fondale opaco della notte. Avevano l'aria così orgogliosa e pregna di potere che mi parevano tutti e tre degli Dei veri.
Il volto del primo Satana aveva ambiguo il sesso. I suoi occhi languorosi, belli, di un colore di tenebra e indecisione , somigliavano a viole ancora ubriache ed appesantite dagli scrosci della tempesta. Attorno alla sua tunica porpora era attorto, come cintura, un serpente gatteggiante che, la testa sollevata, volgeva verso di lui due occhi di brace. A questa cintura viva erano appesi, alternate a fiale colme di liquori sinistri, lucenti coltelli e strumenti di chirurgia. Nella mano destra aveva una fiala colma di un rosso luminescente, che aveva per etichetta queste parole bizzarre -Bevete, questo è il mio sangue, un perfetto risanatore-. Nella sinistra un violino su cui certo sfrenava piaceri e dolori. Alle caviglie delicate trascinava alcuni anelli di una catena d'oro infranta e quando l'impaccio che ne aveva lo costringeva ad abbassare lo sguardo a terra, si ammirava vanitoso le unghie dei piedi, lucide e smerigliate come pietre ben lavorate.
Il secondo Satana non aveva nè quell'aria fra tragica e ridente, nè le belle maniere insinuanti, nè la delicata bellezza. Era un uomo vasto, il volto grosso senza occhi, la ventresca greve che gli traboccava sopra le cosce e tutta la sua pelle era indorata ed istoriata, come da un tatuaggio, di minute figure mobili, a rappresentare le numerose forme dell'universale miseria. C'erano piccoli uomini sfiancati che si impiccavano volontariamente ad un chiodo; piccoli gnomi deformi e smagriti, i cui occhi imploranti reclamavano l'elemosina meglio delle loro mani tremolanti. E ancora quanti ce n'erano. Il grosso Satana stamburava col pugno sul ventre immenso, da cui fuggiva allora un lungo e rimbombante tintinnio di metallo che moriva in un vago lamento fatto di numerose voci umane. E rideva, mettendo in mostra con impudenza i suoi denti marci in una enorme rista imbecille.
Quanto alla demonessa, mentirei se non confessassi che al primo sguardo le trovai una strana malia. Per definire il suo fascino non saprei compararlo a nulla di meglio che alla malia delle donne molto belle al declino, che pure non invecchiano più e la cui bellezza conserva la penetrante magia delle rovine. Aveva un'aria insieme imperiosa e smidollata e i suoi occhi, anche se sbattuti, racchiudevano una forza fascinatrice. Quel che più mi scosse fu il mistero della sua voce dove ritrovai la memoria dei contralti più deliziosi e anche un poco dell'arrochimento delle gole incessantemente sciacquate dall'acquavite.
Mi misi ad urlare, li scacciai, sparirono.
Certo, di una così coraggiosa abnegazione avevo tutto il diritto di essere fiera. Ma sfortunatamente mi risvegliai e la forza mi svanì nella vene.

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Chi nel corso della vita non ha mai commesso follie è un pazzo ...
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