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Tram di celluloide (ovvero, tutte le volte del Tram al cinema, in Italia)

Ultimo Aggiornamento: 06/08/2023 16:51
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05/02/2006 09:14
 
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maestro tranviere
Un Marito Per Anna Zaccheo (Napoli) - 1953, Giuseppe De Santis
L'implacabile Gennaro, spalleggiato dal fratello cinefilo Luigi, mi ha inviato (ormai già da un po' [SM=x346225] ) questa recensione del film (non straordinario, in verità, come si evince anche dalla critica che riporto in calce) di Giuseppe De Santis, con la mitica Silvana Pampanini (Ninì Pampam, come la chhiamavano gli ammiratori dell'epoca, tra cui Totò che, avendo vanamente spasimato per lei, le dedicò deluso "Malafemmena") assieme a Amedeo Nazzari, Massimo Girotti e Umberto Spadaro.

La scheda tecnica del film, come sempre, è su www.cinematografo.it

Ma lasciamo la parola ai Fiorentino Bros. e ai loro ricordi:

"In uno scialbo pomeriggio di questo mese di Gennaio, per rientrare a casa ho preferito prendere la Metro 2 dalla stazione di Piazza Amedeo. Nell'imboccare il lungo corridoio che porta ai binari, ho ritrovato gli stessi odori e la stessa atmosfera di quando ne ero assiduo frequentatore. Ciò non è accaduto certamente ieri.

E' vero che l'interno è molto cambiato:la grande volta a botte è stata controsoffittata. Le pareti sono belle, pulite e ricoperte di lucidi pannelli. Belle panchine sono a disposizione dei passeggeri e luci, molte luci, rendono il posto molto gradevole. Nei pochi minuti di attesa del treno proveniente da piazza Garibaldi, sul binario opposto sono passati un Pendolino diretto a Salerno e un convoglio del Metrò. E così mi sono ricordato di quella sera di un inverno di tanti anni fa quando di ritorno dal Cinema Corona che era in Via dei Mille, io ed i miei amici Rosario ed Arturo, perdemmo sul filo un treno che ci avrebbe riportati a casa per tempo. L'altro si fece attendere 40 minuti costringendoci ad arrivare a casa dopo le 23.

L'orario non poteva passare inosservato ai nostri genitori. Infatti tutti ricevemmo un rimprovero. Io mi sentii gridare da mio padre dal fondo del letto: "Ti sei deciso a rientrare, delinquente!".

Quella era la mentalità di quei tempi, dura e severa verso i giovani senza un poco di comprensione. Per le donne invece il discorso non esisteva. Lo scopo fondamentale della loro vita era trovare un marito a cui consegnare il loro grande tesoro costituito dall'illibatezza. Su questa vigilava la famiglia: padre, madre e fratelli affinchè tutto si svolgesse con regolarità.

"Un marito per Anna Zaccheo" (1953) era il titolo del film che vedemmo quella sera e che ci fece fare tardi. Con grande coraggio, il regista G. De Santis, descriveva la umile e mediocre condizione di una ragazza del popolo alla ricerca di un marito.

La pellicola era ambientata a Napoli, da sempre laboratorio di costume e di studi di ogni forma di vita sociale. Silvana Pampanini era Anna, una bellissima ragazza del popolo la cui massima aspirazione era trovare marito ed avere dei bambini. I protagonisti maschili erano invece Massimo Girotti, Amedeo Nazzari ed Edoardo Spadaro, tutti desiderosi di sposarla ma non al punto di dimenticare i pregiudizi.

Il film si chiude così come inizia, ossia con la stessa inquadratura in modo da rendere l'idea visiva dell'impossibilità rassegnata di cambiamenti. La città è rappresentata anch'essa in tono dimesso con un linguaggio neorealistico. Le sue strade quasi sempre bagnate dalla pioggia, sinistri falò notturni, umanità dolente vestita di stracci, venditori ambulanti con le facce scavate dalla fame, dominano lo schermo. I noti panorami napoletani non compaiono mai nell'intenzione di negare qualunque messaggio di ottimismo.

Per quanto riguarda la presenza del soggetto tranviario, si riconoscono in alcuni momenti. Una carrelli all'altezza del Mercato Ittico con uno sfondo manco a dirlo, grigio ed un enorme baraccopoli, retaggio della Guerra passata da poco.



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Una balilla sul Ponte della Sanità di cui ben si vede solo (peccato) la fascia inferiore.



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La funicolare di Montesanto, più tardi immortalata nel fiabesco bianco e nero del "Giudizio Universale" nonché nell'epico "Quattro Giornate di Napoli" e nel famoso "Napoli Violenta", scorre quì con le vecchie carrozze che sovrastano un muro grigio e decrepito come metaforicamente è il resto del film.



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In questi anni il contesto napoletano, per grazia di Dio, è cambiato profondamente. La baraccopoli è scomparsa da decenni, i tram sono colorati ed allegri, noi non apostrofiamo i nostri ragazzi "delinquenti" per aver sforato le 23 e le ragazze napoletane non si chiamano più Anna Zaccheo."

Gennaro ha inoltre consultato l'esimio Mastro Cracco in merito alle due vetture tranviarie sopra immortalate, ricavandone le seguenti dettagliate informazioni:

La "Balilla" 423, che nel film appare in splendida forma, fu costruita nel 1934 sulla base di un telaio già esistente, e ha circolato fino al 1965, anno della sua prematura (come le altre consorelle) demolizione, assieme alla unica Thomson & Houston sopravvissuta fino a quel periodo, la 18, utilizzata in precedenza come trasporto materiali. Il tram qui ha ricevuto la doppia fanaleria applicata anche alle vetture a carrelli "tipo Officina" che caratterizzò diversi tram nella prima metà degli anni '50, e ha già avuto anche la trasformazione (come si nota da quella piccola porzione di carenatura vicino alla porta posteriore) dei predellini, da quel momento fissi e senza più la pedana ribaltabile. La 423 ebbe un periodo di assegnazione al deposito Fuorigrotta, per poi essere trasferita al Garittone (è il periodo di queste immagini) per essere utilizzata solo sulla linea 62 Piazza Dante (poi Tondo Capodimonte)-Mugnano (poi 160R e oggi 163 limitata al metrò Frullone), in quanto era l'unica ad avere il capolinea a Mugnano che consentisse di tornare indietro ad una vettura monodirezionale. Nel 1960, all'atto della dismissione della rete del nord, fu trasferita tramite il raccordo tranviario fra ATAN e TPN (presente al corso Campano di Giugliano, che consentiva di arrivare di nuovo sulla rete ATAN al corso Novara/Ponte di Casanova) al deposito San Giovanni, e fu l'ultima Balilla a circolare sulla rete napoletana come "trasporto materiali" quando già era stata accantonata nel 1964 la suddetta 18.

Per quanto riguarda l'altra immagine della carrelli, siamo a via Marinella, in quella tratta tranviaria dismessa alla fine (credo) degli anni '50 ma mai rimossa, che oggi giace sotto l'asfalto della nuova strada interna al porto. La vettura sicuramente non è un'ex "Urbana", per la scansione dei finestrini che in queste ultime tradiva la presenza originaria della porta centrale in luogo di quella posteriore. Sicuramente è una fra queste, in quanto non fra quelle ricostruite:
952, 954, 955, 956, 969, 971, 972, 975, 976, 977, 979, 985, 988, 990, 993, 1005, 1010, 1016, 1020, 1025, 1027, 1029, 1033, 1035, 1039, 1047, 1048.

Non è moltissimo, ma avere ristretto il campo a 27 motrici sulle 104 esistenti all'epoca (due erano state demolite per bombardamento) potrebbe considerarsi un buon risultato, visto che ci sono pochissimi indizi. In più possiamo solo dire che il tram è impegnato sicuramente su una linea fra 34, 54, 55.

E dopo questa ennesima prova di stupefacente erudizione tranviaria, termino questo lungo intervento con la critica cinematografica al film, assai severa, devo dire, menzionata in apertura, di G.C. Castello ("Cinema", n. 117, Settembre 1953) "E' stato per De Santis un film di parziale ripiego, cui egli è giunto in conseguenza delle remore poste in sede censoria e produttiva alla realizzazione del vagheggiato e altrimenti impegnativo 'Nostro pane quotidiano' (...) Opera dichiaratamente minore, per il suo impegno circoscritto il film vede assai ridotta la sua portata sul piano sociale, proprio in conseguenza del generico folklorismo della cornice, della mancanza di un inserimento più realistico della protagonista entro un ambiente di cui essa appaia chiaramente il frutto e lo specchio ad un tempo"




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