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FERROVIA RIMINI-NOVAFELTRIA

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2015 14:31
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20/07/2015 12:42
 
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tranviere junior
Negli anni Trenta, Rimini era popolata da una selva di binari: i binari delle Ferrovie dello Stato, che si diramavano anche nelle Officine Grandi Riparazioni, i binari della ferrovia per San Marino, i binari del tram Rimini-Riccione (rimpiazzato alla fine del decennio dalla filovia) e, infine, i binari della piccola linea ferrata per Novafeltria (Mercatino Marecchia sino al 1940). La linea, a scartamento ridotto di 950mm, fu aperta fra il 1916 (quando le rotaie raggiunsero Verucchio) e il 1922 (quando il treno sbuffò per la prima volta nella stazione del piccolo abitato di Novafeltria). Esercita con trazione a vapore con le locomotive Breda, coadiuvate dal piccolo "cubo" Krauss, gli sconvolgimenti per questa linea non tardarono ad arrivare: nel 1933, poco dopo l'apertura della ferrovia per il Titano, la Società Anonima di Ferrovie e Tranvie Padane (FTP), concessionaria della linea, fallì. Il rischio di chiusura fu scongiurato con una brillante idea: la prima Gestione Commissariale Governativa della storia italiana. Purtroppo così non fu per l'altra linea gestita da FTP, la Fano-Fermignano-Urbino, che chiuse i battenti fino al 1941, quando fu rilevata dalle FS. La gestione commissariale (oggi largamente utilizzata anche per lunghi lassi di tempo fra le ferrovie secondarie) durò fino alla cessazione del servizio, nell'autunno 1960, superando indenne la devastazione della Linea Gotica e la caduta del regime fascista.
Il bilancio della linea si reggeva soprattutto sul trasporto massiccio di zolfo dalla miniera di Perticara (collegata alla stazione di Novafeltria tramite una teleferica) al porto di Rimini (collegato con la stazione centrale delle Padane con un raccordo in sede promiscua), dove lo zolfo di Perticara veniva imbarcato sui piroscafi per raggiungere i porti croati e serbi sulla sponda opposta dell'Adriatico. Con la chiusura della miniera, in breve tempo chiuse anche il raccordo con il porto, anche se gli impianti non furono attentamente smantellati: infatti, nel 2004, durante i lavori di riasfaltatura di Via dei Mille, furono ritrovate le rotaie dell'antico raccordo ferroviario, miracolosamente salvate dalla furia della riminizzazione.
Nel 1952, le vecchie vaporiere Breda furono mandate in pensione, dopo trent'anni di onorato servizio, e sostituite da tre littorine a due assi, realizzate dalle Officine Ranieri e denominate ALn 35, e un'automotrice, la ALn 52. Anche il simpatico "cubo", utilizzato per i lavori di ripristino della linea dopo le devastazioni belliche, si unì alle amiche vaporiere.
Tuttavia, il rinnovo del parco rotabile rappresentò l'inizio della fine per questa piccola linea ferrata: il veloce avanzare della motorizzazione di massa consegnò all'oblio la piccola linea della Valmarecchia, che venne soppressa nell'autunno del 1960 e rimpiazzata dalle autocorriere, sempre gestite dalle Ferrovie Padane. Oltre al danno, anche la beffa! Il deposito delle autocorriere fu collocato proprio dove una volta si estendevano i lunghi binari della stazione di testa a Rimini. Così, gli abbandonati relitti del passato ferroviario, ormai soggiogati dalle erbacce e dall'incuria, si trovarono a convivere con i moderni e comodi autobus, che, a pochi metri di distanza, volteggiavano in cerca di una sistemazione nel deposito.
Lo scempio si offriva ai riminesi ed ai turisti quotidianamente: così, nel 1970, si scelse di vendere al miglior offerente le carcasse immote del trenino, che siano littorine o vaporiere. E il miglior offerente fu la Ferrovia Circumetnea di Catania, che si accaparrò le littorine e l'automotrice per due soldi. Ma le vaporiere erano ormai troppo vecchie per essere nuovamente impiegate: troppo inquinanti e malridotte per l'elettrificazione totale ormai incalzante. Per loro non rimase dunque che la fiamma ossidrica. All'ingeneroso destino riuscì però a scampare il piccolo e grazioso "cubo", che oggi si offre agli obbiettivi delle macchine fotografiche lungo la ferrovia museo svizzera Blonay-Chamby, tutto luccicante e sbuffante.
Ma per le littorine non ci fu lo stesso fortunato destino: accantonate dopo pochi anni di utilizzo, se ne andarono anche loro presto alla fiamma ossidrica. Durò di più l'automotrice, che arriverà sino ai nostri giorni. Ma anche lei giace ormai in un deposito, in attesa della fiamma ossidrica, nonostante gli appelli (fra cui anche il mio) a preservare un rotabile di tale valore storico e affettivo per la Valmarecchia.
Una ferrovia lungo la valle del Marecchia sarebbe oggi più che mai utile: ridurrebbe il livello di polveri sottili, a cui contribuisce anche il quotidiano andirivieni dell'autobus, oggi classificato come linea 160, rappresenterebbe un'occasione di rilancio turistico per una vallata depressa, costituirebbe un'importante asse di collegamento rapido, senza troppi progetti avveniristici di Bus Rapid Transit, altro esempio di una cementificazione che è ancora lontana dall'andarsene. Ma in questi tempi di crisi economica, fare una scommessa sul futuro appare troppo rischioso. Troppo pericoloso invertire la rotta e scegliere di investire sull'ambiente, anziché sul cemento soffocante, che ha imbruttito le nostre città. Ma in fondo non si vive solo di ponti sugli stretti...
[Modificato da Lollofilovia 02/09/2015 21:14]
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